A Odessa ha battuto un cuore italiano (ed è stata scritta “O sole mio”)

A Odessa ha battuto un cuore italiano (ed è stata scritta “O sole mio”)

di Pietro Licciardi

CURIOSITA’ E ANEDDOTI DELLA PRESENZA ITALIANA IN CRIMEA E UCRAINA

Informazione Cattolica ha intervistato nuovamente Ugo Poletti, italiano di Odessa, direttore e fondatore del “The Odessa Journal”, col quale parleremo questa volta della presenza italiana in Ucraina approfondendo quanto già abbiamo anticipato in un precedente articolo.

Cominciamo con una curiosità. La celeberrima canzone O sole mio, dove fu scritta?

«La prima cosa che mi fu detta appena giunto qui a Odessa fu appunto che Eduardo Di Capua, in tournee in questa città, sentì il bisogno di comporre una canzone guardando un tramonto sul Mar Nero e infatti se si ascolta non c’è alcuna menzione di Napoli. Purtroppo sia Giovanni Capurro che scrisse i versi che Di Capua, peraltro entrambi napoletani, morirono in miseria perché O sole mio divenne celebre solo quando il tenore Enrico Caruso la incise su disco».

Come abbiamo anche noi ricordato a Odessa vi fu una nutrita presenza italiana e buona parte della città fu costruita proprio da architetti italiani. Cosa resta oggi di quella presenza?

«Bisogna distinguere le due località. La penisola di Crimea ebbe coloni italiani e Genovesi fin dal medioevo, da circa il 1250 al 1475, ma vi erano colonie anche in tutto il Mar Nero: in Turchia, Georgia, Romania e Bulgaria, essendo per loro un mercato troppo importante. In pratica lo dominarono fondando città talmente ricche da battere moneta e con proprie milizie. In pratica fu un impero commerciale genovese. Poi i turchi conquistarono Costantinopoli prendendo possesso degli stretti e da lì a pochissimi anni i genovesi persero il controllo politico e militare del Mar Nero».

Tuttavia non fu la fine della presenza italiana…

«In Crimea rimase una forte concentrazione di queste città e fino ai tempi di Stalin vi ha vissuto una folta comunità di italiani. Quando ancora Odessa non era stata fondata c’era già un console del Regno di Sardegna, che era lo zio di Garibaldi. Lo stesso Garibaldi, quando la città divenne un porto importante, fece diverse visite come marinaio imbarcato su un mercantile. La storia di Odessa inizia alla fine del Settecento, quando i russi in una Europa distratta dalla Francia che tagliava le teste ai re, ebbero l’opportunità di conquistare le sponde del Mar Nero e grazie alla intuizione del napoletano Giuseppe De Ribas cominciò la costruzione di un porto con la benedizione della zarina Caterina. A quel punto inizia la nuova epopea della comunità di italiani che chiamati proprio dal De Ribas giunsero numerosi dal Regno delle Due Sicilie, a cui poi si aggiunsero milanesi, genovesi e altri. Erano armatori, mercanti, capitani e anche artisti; e qui torniamo a O sole mio. Questi connazionali infatti non solo costruiscono la città ma le danno una impronta fortemente italiana riempiendo Odessa di insegne scritte in italiano e scrivendo pure in italiano le bolle di carico e i documenti di navigazione. E’ bello ricordare che l’italiano a quei tempi era l’inglese del Mediterraneo, poiché tutti, anche i turchi, lo capivano. La comunità di connazionali non era la più numerosa di Odessa ma era talmente forte che ancora a metà Ottocento i governatori, i sindaci e i nobili sentono il dovere di imparare l’italiano e addirittura arrivano professori dall’Accademia milanese di Brera alcuni dei quali, si scopre, non hanno mai imparato il russo, segno che tutti i loro studenti capivano l’italiano».

Questa bella storia fino a quando dura?

«Purtroppo la favola della Odessa cosmopolita finisce quando arrivano i bolscevichi, i quali non amavano gli stranieri. La guerra civile crea un grosso shock e a farne le spese è soprattutto la classe dirigente, ricca e colta; purtroppo molti degli italiani erano esponenti della borghesia. Tra questi Arturo Anatra, la cui famiglia era originaria di Messina, e siccome adorava il volo fu il fondatore dell’aeroclub russo, il primo a far volare un aereo nell’Impero dello zar e a fondare una industria aeronautica».

Gli italiani dettero anche una impronta culturale forte alla città, vero?

«Senz’altro. Una delle vie principali di Odessa si chiamava italianskaia e il teatro è stato costruito dagli italiani che continuavano a invitare cantanti, musicisti, direttori d’orchestra dall’Italia tanto che tutt’oggi nel suo repertorio vi sono in maggioranza opere liriche italiane. A tre mesi dall’inizio di questa guerra si è vista una bella immagine del coro del teatro che cantava un’aria del Nabucco in piazza, tra i sacchi di sabbia e il filo spinato. Poi arrivarono i bolscevichi, che erano poco interessati alla cultura internazionale e cominciarono a perseguitare i ricchi. Al povero Anatra ammazzarono un fratello per strada e entrati nel vecchio cimitero monumentale della città hanno distrutto tutte le tombe».

Tra gli italiani c’erano anche diversi ebrei. Che fine hanno fatto?

«La presenza di ebrei in Odessa era molto nutrita ma siccome la prima ondata di bolscevichi aveva moltissimi ebrei tra i suoi dirigenti inizialmente l’Armata Rossa non ebbe un atteggiamento antisemita. E’ però importante parlare degli ebrei perché tra di loro vi era un esponente importante della nostra storia che è Leone Ghinzburg, nato proprio a Odessa in una famiglia molto colta, su posizioni filorivoluzionarie, essendo critica con lo zarismo, e con costanti contatti con l’Italia. Tuttavia quando hanno capito di che pasta erano fatti i bolscevichi – i quali facevano fuori non solo gli zaristi ma con altrettanto gusto anche i socialisti – sono scappati pure loro. Chi non è riuscito a fuggire si è dovuto assimilare perché sia la storiografia zarista, molto nazionalista, che quella comunista non amavano il cosmopolitismo di una città particolarmente bella, nata dal genio straniero».

In un suo articolo ha parlato di una fase delle cospirazioni. Di che si tratta?

«E’ il momento dei fuoriusciti comunisti e antifascisti, poco prima la seconda guerra mondiale. Il regime comunista sovietico era ancora animato dal sacro fuoco della rivoluzione internazionale ed era convinto di doverla esportare negli altri paesi europei. Odessa torna così protagonista perché tra i marinai e i capitani delle navi le spie della Ceka fanno di tutto per reclutare gli italiani. Molti antifascisti si fanno reclutare volentieri e addirittura qualcuno viene addestrato per uccidere Mussolini. In questo periodo ci fu l’assassinio di un viceconsole italiano, Silvio Cozio, in quanto al consolato del Regno d’Italia, sapevano benissimo dell’esistenza dei centri di reclutamento e addestramento in vista della rivoluzione in Italia. In quel periodo furono parecchi i diplomatici stranieri uccisi dal servizio di sicurezza sovietico in quanto ritenuti pericolose spie».

C’è un altro aneddoto che a lei piace raccontare sulla presenza italiana…

«Si, riguarda la trasvolata di Italo Balbo. Sappiamo tutti che l’Italia ha combattuto la Russia al fianco dei tedeschi ma nel 1929 quando Balbo, che era già un mito internazionale, arrivò con trenta idrovolanti fu accolto con tutti gli onori, anche perché l’esercito sovietico si stava formando, e ci sono le foto dei soldati bolscevichi che gli fanno il drappello d’onore».

A questo punto ricordiamo anche che fu Mussolini a far costruire a Livorno i più moderni incrociatori della flotta di Stalin

«Si, quando ho fatto vedere le fotografie ad uno storico locale mi ha detto che neppure sapeva fosse avvenuto, perché quando è cominciata la guerra la Ceka, poi diventata Gpu e Kgb cercò di cancellare ogni cosa, anche se molti dei generali russi che si vedono con Balbo erano già finiti uccisi nelle purghe».

Poi scoppiò la guerra e che accadde?

«La seconda guerra mondiale diede la seconda mazzata alla comunità italiana che da allora non ebbe più alcuna rappresentanza consolare e diplomatica. Tra l’altro fecero una brutta fine pure i fuoriusciti antifascisti i quali inizialmente vennero attirati dalla macchina propagandista sovietica, anche se vennero sempre trattati con grande sospetto, per poi finire nei gulag. Qualcuno poi fu liberato e riabilitato; i sovietici infatti facevano queste cose strane».

A Odessa c’è anche la celeberrima scalinata immortalata dal regista Ėjzenštejn nel suo film La corazzata Potëmkin. In Italia molti lo conoscono grazie ai film del ragionier Fantozzi…

«Il film è molto bello, quello di Ėjzenštejn ovviamente, e ha cambiato la storia del cinema ma era propaganda. Quella scalinata non ha mai visto soldati zaristi sparare sulla folla. Fu una invenzione del regista, peraltro geniale. In quel periodo a Odessa c’era uno sciopero e avvennero scontri con qualche vittima ma non su quella scalinata».

https://www.youtube.com/watch?v=n-l_TG3p8SE

Adesso gli italiani, non solo a Odessa ma anche in Ucraina, hanno ancora un qualche peso?

«L’Italia, in base alla mia esperienza e non solo, ha ancora un grande ascendente. E’ il paese più amato non solo per la sua cultura e l’origine di Odessa contribuisce molto. Ma il peso di una comunità è determinato anche dalle attività economiche e mentre a Odessa gli italiani avevano una leadership nel commercio e nelle attività marittime col tempo l’abbiamo persa e oggi gli italiani presenti in città sono pochi e dediti ad attività minori. Solo qualche anno fa la Campari, marchio famosissimo, aveva acquistato una distilleria ma dopo poco l’ha rivenduta. Una comunità più folta è a Kiev, capitale non solo politica ma anche economica e finanziaria, dove molte più società italiane hanno aperto le loro sedi».

 

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