La maternità surrogata? Una invenzione dei nazisti

di Pietro Licciardi

IL PROGETTO LEBENSBORN TOGLIEVA I FIGLI ALLE MADRI NATURALI PER AFFIDARLI A TEDESCHI CHE LI AVREBBERO ALLEVATI SECONDO I LORO CANONI IDEOLOGICI 

Nel 1935 prese il via in Germania il progetto Lebernsborn – sorgente di vita – voluto da Heinrich Himmler, capo delle SS nazionalsocialiste, per aumentare il numero dei tedeschi ariani.

Il progetto prevedeva che uomini appartenenti al suo corpo paramilitare, selezionati in base alla purezza della razza, si accoppiassero con donne sane e di analogo “sangue puro” per generare bambini ariani al cento per cento, che sarebbero stati affidati a famiglie che li avrebbero allevati secondo i canoni imposti dal regime.

Alle ragazze madri era garantito un assoluto anonimato, in modo che nessuno potesse risalire ai genitori naturali dell’adottato. Oltre a ciò veniva loro garantito per tutto il periodo della gravidanza un ambiente protetto, confortevole e un’assistenza di prim’ordine durante il parto.

Esattamente quello che avviene oggi con la cosiddetta maternità surrogata, con la sola variante che al posto degli aitanti e razzialmente puri pretoriani delle SS si preferisce il seme dell’acquirente – una coppia di omosessuali o lesbiche – ed eventualmente di qualche donatore selezionato in base a caratteristiche non esclusivamente razziali.

Alle madri, oggi come ieri, provvedono apposite cliniche specializzate in cui le gestanti possono seguire diete appositamente studiate, sottoporsi a controlli periodici per assicurare ai committenti la “qualità” del concepito e infine partorire in modo sicuro, senza che il bambino, acquistato a caro prezzo, subisca danni.

Nel progetto Lebernsborn i neonati che dimostravano di non essere in possesso dei requisiti desiderati venivano affidati alla Nationalsozialistische Volkswohlfahrt l’organizzazione nazionalsocialista per il benessere del popolo.

Oggi, in virtù dei progressi in campo medico-scientifico che consentono accurate analisi prenatali, chi non soddisfa le aspettative degli acquirenti viene semplicemente abortito.

Inizialmente il privilegio di dare figli al Reich era riservato solo alle madri di sangue ariano che di buon grado si sottoponevano alla inseminazione – allora non ancora artificiale – ma nel corso della guerra i nazisti, considerato l’insufficiente numero di volontarie, non si fecero scrupolo nel sottrarre alle madri, soprattutto polacche, i figli che promettevano di venir su biondi e con gli occhi azzurri, mentre in altri paesi occupati vennero incluse nel progetto ragazze disperate che erano rimaste incinte dopo aver avuto relazioni col nemico e per questo fortemente malviste dai connazionali.

Oggi avviene più o meno la stessa cosa: ad affittare il proprio utero sono pochissime volontarie mentre la maggior parte delle madri surrogate sono giovani europee e americane in difficoltà economiche, e magari con situazioni sociali problematiche sulle spalle, o donne di paesi poveri, come l’India, che mettono a rischio la propria vita per il sollazzo di qualche ricco occidentale, che non vuole rinunciare al proprio giocattolo.

Come si vede niente di nuovo sotto il sole, e casi di maternità surrogata li riscontriamo anche, sporadicamente, nell’antichità romana.

L’utero in affitto, la maternità surrogata o come altro la vorranno chiamare per cercare di camuffarne l’odiosa e luciferina sostanza, non è una invenzione recente; ci avevano già pensato, nel secolo scorso, in larga scala, i nazisti.

 

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