La legge naturale è un fatto, non una teoria!

di Daniele Trabucco

IL “FATTO” DELLA LEGGE NATURALE

Il tema della legge naturale non si inserisce all’interno di una teoria, ma costituisce un fatto. Questo significa che ció cui diamo il nome di “lex naturalis” è un dato di esperienza. Pertanto, la c.d. teoria della legge naturale altro non è che la spiegazione scientifica di questo dato.

La ragione dell’uomo, indipendentemente dalle epoche storiche e dal contesto politico/culturale, non considera indifferenti tutte le azioni che concretamente si possono attuare. Emette, infatti, dei veri e propri giudizi vincolanti: si deve tenere questo comportamento, si deve evitare quest’altro. Questi giudizi “deontologici” sono anteriori alla decisione di agire e non debbono essere confusi con il giudizio personale mediante il quale il soggetto giunge a prendere la decisione di assumere questo o quel conportamento.

Detto diversamente, i giudizi “deontologici” costituiscono “le leggi dell’agire” cui si puó obbedire o disubbidire (Esempio: di fronte ad un bene altrui il precetto della legge naturale ci dice di “non rubare”, ma il giudizio personale puó condurre a sottrarre il bene del prossimo perchè c’è un interesse a portarglielo via in modo illecito. Questo interesse non è “legge dell’agire”, ma norma e decisione soggettiva).

Se la “lex naturalis” non fosse inscritta nella natura dell’uomo, da intendersi non in senso biologico, nè meccanicistico ma filosofico, ossia natura come essenza della persona, ció che la rende quello che è e la diversifica da altri enti, non si potrebbe spiegare la dissociazione che spesso si sente tra ció che ci rendiamo conto bisogna fare e ció che vogliamo fare. Si potrebbe obiettare che questa possibile discrasia dipende dalla cultura del tempo quale “sovrastruttura” e non dalla natura del soggetto.

In realtà, se l’uomo non fosse naturalmente morale, se non avesse una struttura tale da consentirgli di cogliere la legge naturale ed i suoi precetti, giammai um fatto culturale avrebbe potuto produrre codesta struttura, poichè ció richiederebbe una mutazione ontologica che non è alla portata di alcun fatto culturale. L’influenza sociale e culturale, semmai, puó comportare giudizi di convenienza e di opportunità, ma non certamente “deontologici”.

Ora, la dinamicità dell’agire umano non è priva di senso, altrimenti le azioni dell’uomo non avrebbero alcun tipo di significato e rientrerebbero nella dimensione della non/logica. Invece, l’uomo, con la sua “ragion pratica”, tende alla corretta espansione del suo essere ed è in questa prospettiva che la legge naturale assume il significato di manifestazione, sotto forma di doveri, delle esigenze naturali della persona umana conformemente alla sua essenza. Il mancato rispetto, da parte della legge positiva, o “humana”, per utilizzare un termine caro a san Tommaso d’Aquino (1225/1274), ha conseguenze ben precise nell’ordine sociale, determinando un vero e proprio perturbamento: il divorzio debilita la famiglia e pone le premesse per la moltiplicazione delle “famiglie” con evidenti ripercussioni sui figli, il permissivismo una spirale di violenza, l’interruzione volontaria della gravidanza una volontà di potenza sul concepito che esiste e che, quindi, è già essere (la sua esistenza non è in potenza, ma già in atto).

Scriveva il grande retore romano Marco Tullio Cicerone (106 a.C./43 a.C.) nel “De legibus”: la vera legge è solo quella norma ” che distingue ciò che è giusto e ciò che è ingiusto secondo la natura stessa delle cose … In caso diverso, una legge non solo non dovrebbe essere considerata tale, ma neppure dovrebbe averne il nome”.

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