Vogliono far diventare scienza e tecnica le sole “verità incontrovertibili”

di Daniele Trabucco

LA SCIENZA ED IL NICHILISMO METAFISICO

Il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer (1900/2002), il più noto esponente dell’ermeneutica filosofica ed autore dell’opera “Verità e Metodo” pubblicata nel 1960, ha dichiarato che la Rivoluzione scientifica, che si afferma a partire dall’età moderna e si sviluppa nei secoli successivi, sia l’unica degna che merita di essere definita tale.

In effetti, la nascita della scienza moderna sovverte il paradigma tradizionale che vedeva in essa la “conoscenza del particolare” e nella filosofia la “conoscenza dell’universale”.

Non è un caso se un premio Nobel come il fisico americano Steven Weinberg (1933/2021) abbia sostenuto che solo con la scienza sarà possibile pervenire ad una “teoria finale”, ossia ad un tipo di scienza che metterà la parola fine “alla ricerca di quei principi”, prosegue il Weinberg, “che non possono essere spiegati attraverso principi più profondi”.

La negazione di qualunque fine assiologico ed ontologico, con la conseguente esclusione di qualunque senso ontologico ed etico della vita umana, conduce, come si puó bene rilevare, ad una sorta di “nichilismo metafisico” (Reale).

In questo modo la scienza e la tecnica diventano le sole “verità incontrovertibili” la cui negazione dei contenuti porta ad una vera e propria “criminalizzazione” di qualunque posizione divergente.

Tuttavia, la loro pretesa di “incontrovertibilità” cela un “divenir altro” sempre costante e senza limiti, o meglio una vera e propria volontà di potenza: pensiamo, ad esempio, a dove puó pervenire l’ingegneria genetica in assenza di limitazioni.

Ora, se la Verità è ció che sta, segue allora che essa è la legge contro cui la volontà di oltrepassare ogni limite sbatte la testa, negando in questo modo alla scienza ed alla tecnica la patente di “verità incontrovertibili” e relegandole al ruolo di “immutabili” (Severino) dietro i quali si cela la paura del divenire stesso e, quindi, della morte.

I Greci chiamavano questa volontà di oltrepassare il limite ὕβρις (hýbris). C’è un frammento straordinario di Eraclito, filosofo di Efeso del VI secolo a.C., dove si dice che, se il sole oltrepassasse i limiti, “μέτρα” (métra), le Erinni, “ἐπίκουροι τῆς Δίχης” (epícouroi tês Díches), “Ministre della Giustizia”, lo rintraccerebbero: il sole che oltrepassa i limiti è il divenire che intende non tener conto di alcuno sbarramento. L’oltrepassamento dei limiti è, pertanto, l’oltrepassamento dei limiti imposti dalla Verità.

Facciamo un esempio concreto: la città veloce dei 15 minuti, che dovrebbe favorire la dimensione iper locale delle metropoli, se da un lato di per sè non confina la persone, dall’altro, richiamandosi ai concetti di prossimità, digitalizzazione, di crono/urbanismo incide sui rapporti umani e pone le premesse per realtà sempre più “compartimentalizzate” con il rischio di barriere tra chi vive in centro e chi in periferia, tra chi puó permettersi l’auto “green” e chi no.

In questo modo il modello della “smart city” tocca e condiziona la libera e naturale socialità della persona umana (Aristotele) che costituisce il limite, posto dalla Verità, che non puó essere oltrepassato. Attenzione peró: alle Erinni non possono sottrarsi neppure gli dei…

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