Il costo umano della guerra in Ucraina: meno 14 milioni di abitanti nel 2040

di Pietro Licciardi

TRA EMIGRATI E SOLDATI UCCISI IN GUERRA SI TEME UN DRASTICO CALO DEMOGRAFICO CHE POTREBBE MINARE LA RIPRESA ECONOMICA. INTERVISTA A UGO POLETTI, ITALIANO A ODESSA

La guerra in Ucraina apparentemente sta subendo uno stallo sul piano militare. Che conseguenze ha il prolungamento del confitto sul morale della popolazione e quali sul piano politico e umano? Ne parliamo con Ugo Poletti, un italiano che vive a Odessa, direttore del The Odessa journal, che i lettori conoscono per essere stato già ospite della nostra testata offrendo analisi obiettive e documentate

Direttore, innanzitutto qual è la situazione ad Odessa? Avete subito attacchi?

«Negli ultimi giorni siamo stati abbastanza tranquilli. Gli attacchi arrivano ad ondate e siamo stati colpiti pesantemente a Luglio e a Settembre ma da una decina di giorni c’è stato solo qualche allarme aereo. La città continua a vivere anche se dall’inizio del conflitto abbiamo avuto una cinquantina di vittime»

L’offensiva ucraina sta raccogliendo qualche successo ma non c’è stata la svolta sperata che convincesse soprattutto l’Occidente che Kiev può riconquistare tutti suoi territori. Come stanno vivendo questo gli ucraini? Qualcosa sta cambiando nel loro morale?

«Gli ucraini sono ancora determinati a resistere. Sono ovviamente preoccupati ma sono convinti che questa sia una guerra giusta perché temono che la Russia non si fermi e anche se si arrivasse alla pace rappresenterebbe sempre un pericolo. Vincere questa guerra serve loro innanzitutto a riportare a casa dei territori occupati. Sono preoccupati anche per il prolungarsi della guerra perché indubbiamente si aspettavano risultati decisivi, anche se sono stati ottenuti altri risultati importanti. Ad esempio non abbiamo più la minaccia dal mare, perché grazie alla capacità di attacco ucraina le navi russe si sono dovute ritirare dalla Crimea. In ogni caso vincere la guerra è per l’Ucraina la garanzia di una pace più duratura».

Sono tutti così determinati a combattere o questo è più evidente tra i più anziani; quelli che hanno conosciuto da vicino il regime comunista sovietico?

«E’ una domanda difficile. Da un certo punto di vista gli anziani sono anche i più disorientati perché quelli che hanno visto la seconda guerra mondiale consideravano i russi “i nostri”, mentre gli europei, ovvero i tedeschi e purtroppo anche noi italiani, erano i nemici. Direi proprio che sono scioccati perché sono cresciuti in un ambiente in cui le uniformi russe erano quelle di amici e fratelli. Probabilmente la determinazione maggiore è nella generazione intermedia, quella che consapevolmente ha scelto l’Ucraina e l’Europa. Dal punto di vista generazionale quelli che combattono con maggiore coraggio e idealismo sono i più giovani, anche se non nascondo di averne conosciuti alcuni che non hanno nessuna intenzione di andare al fronte. Non è perciò possibile dare una risposta precisa per ciascuna generazione. Infine non dimentichiamo quelli che vorrebbero una Ucraina sotto la Russia. Erano molto più numerosi nel 2014 e sono andati man mano diminuendo col procedere della belligeranza ma ci sono anche questi».

Le perdite umane soprattutto tra i militari sono molto pesanti e l’esercito sembra abbia qualche difficoltà coi nuovi arruolamenti, tanto è vero che nei filmati dal fronte si vedono sempre più anziani. Questo ha un peso nella capacità bellica ucraina?

«Quando c’è una guerra non si possono arruolare tutti quelli che possono combattere perché ci vuole comunque chi manda avanti le aziende e i servizi o lo Stato si ferma. La normale percentuale è di circa 2-2,5% della popolazione arruolata. La Germania verso la fine del secondo conflitto il massimo che riuscì ad arruolare fu il 5% e là si videro veramente al fronte vecchi e bambini. Io invece incontro in strada qui a Odessa ancora dei giovani in età di leva ma non sono arruolati perché lavorano in settori essenziali. Quella degli anziani che vanno a combattere secondo me è una esagerazione ma è vero che c’è un problema serio costituito da coloro che cercano di evitare l’arruolamento. La stanchezza della guerra arriva quando la popolazione vede troppi morti o perde la fiducia nella vittoria. In questo momento gli ucraini ci credono ancora, anche se certamente non avevamo mai visto così tante perdite, né tra i russi in Afghanistan né tra gli americani in Vietnam».

Una demografa ucraina ha avvertito che nel 2040 la popolazione avrà 14milioni di persone in meno a causa della guerra. Immaginiamo le conseguenze drammatiche e l’ipoteca sullo sviluppo futuro del Paese. Di questo si sta parlando?

«Questo è un problema molto serio. Al momento si calcolano in 500mila le perdite militari complessive e circa 200mila morti e feriti tra gli ucraini. Ma il problema sono gli ucraini all’estero, circa 10 milioni, i quali non sappiamo se torneranno a casa. Pensiamo a quelle famiglie che hanno trovato lavoro in Polonia, Germania, Italia e magari guadagnano bene e con buoni sistemi di welfare a disposizione. La preoccupazione della demografa è però fondata e quando la guerra finirà lo Stato deve poter dare buone prospettive di vita agli ucraini che sono fuori se vuole che ritornino».

Chiariamo che il deficit demografico dipenderà non solo dagli emigrati ma anche dal fatto che non ci saranno più un gran numero di uomini e donne in età fertile, perché uccisi o mutilati…

«Certo, è possibile; ma se guardiamo l’esperienza della seconda guerra mondiale subito dopo c’è stato un baby boom. Le popolazioni si rigenerano se c’è fiducia nel futuro e se il governo, come fece l’Italia, offre lavoro e abitazioni»

 

(Domani la seconda parte dell’intervista)

Qui l’intervista video integrale

 

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