Lo Stato abbia il coraggio di investire maggiormente sulla sanità pubblica

di Domenico Scilipoti Isgrò

LETTERA AL SANTO PADRE SULLO STATO DELLA SANITA’ ITALIANA

Beatissimo Santo Padre (e per conoscenza all’Ecc.mo Sig. Presidente della Repubblica Italiana Prof. Sergio Mattarella, all’Ecc.ma Presidente del Consiglio dei Ministri On.le Giorgia Meloni, all’Egr. Sig. Ministro per la Salute dottor Orazio Schillaci, all’Ecc.mo Sen. Renato Schifani Governatore della Regione Sicilia, all’Egr. Don Massimo Angelelli Responsabile Nazionale Pastorale della Salute Cei, all’Egr. Dottor Filippo Anelli Presidente Nazionale Ordine dei Medici ed Odontoiatri), Indirizzo a Voi queste mie riflessioni sullo stato di salute della sanità, in specie quella pubblica, nel nostro amato Paese che versa in condizioni difficoltose, talvolta persino imbarazzanti.

Sono riflessioni dettate da due ordini di ragioni: la prima è radicata nella mia attività quotidiana di medico, la seconda è nella mia attività di politico di ispirazione cristiana,  orientamento religioso che in questo caso deve lasciar il campo ad un generale “favor” per la cura delle persone, indipendentemente da ragioni di religione, appartenenza politica o sociale, in base al principio di laicità dello Stato che deve dare risposte a tutti senza distinzioni, come proprio domenica scorsa abbiamo letto durante le celebrazioni eucaristiche nel Vangelo con la parabola del: “Dare a Cesare quel  che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.

La salute, nella Carta Costituzionale della quale, assieme all’Unità Nazionale, è garante il Capo dello Stato e della quale proprio  quest’anno, si celebrano i 75 anni, all’art 32 è considerata “Diritto fondamentale del cittadino”. Recita detta norma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’ individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

La salute è valutata dalla Costituzione diritto fondamentale, cioè il più alto dei diritti assieme alla libertà, al lavoro, alla dignità sociale, alla impresa. Ne discende che essa non solo è garantita quale diritto individuale, ma è anche collettivo, nell’interesse del bene comune e questo trova un avallo nell’art. 3 della Costituzione che assicura il diritto di uguaglianza dei cittadini, e nell’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo in ogni formazione sociale ove si svolge e sviluppa la sua personalità. Il terzo punto è di indole squisitamente sociale, la tutela della salute a tutti, senza distinzione di ceto sociale o condizione economica.

La domanda che dobbiamo porci è questa: davvero l’art 32 della Costituzione in Italia è attuato e rispettato? O si sta avverando, progressivamente, un caso di denegata giustizia?. La sensazione e, soprattutto, la situazione sul campo, fanno propendere per questa  sciagurata ipotesi.

La salute è, oltre che diritto fondamentale e soggettivo, diritto naturale. Il diritto naturale, così come concepito dal filosofo e giurista inglese John Locke, è quel diritto del quale ogni individuo gode, titolare sin dalla nascita, e consiste nel fatto di essere costitutivo della stessa natura umana (diritto alla vita, alla libertà personale, alla dignità, alla salute e al benessere, al lavoro). In filosofia del diritto esiste la distinzione tra diritto positivo, ovvero quello  che si basa sulla norma, e diritto naturale che si fonda su concetti etici, e  la salute  ha una doppia valenza e protezione: gode sia di tutela positiva all’ art 32, ma anche naturale in quanto fa parte della sfera individuale ed insopprimibile dell’uomo.

Ho scelto con questa lettera di indicare una parte destruens (la denuncia) ed una costruens (la proposta), in quanto la politica, per essere concreta e per vivere con i piedi in terra e gli occhi al Cielo, deve sicuramente denunciare quello che non va, ma ha il compito di non limitarsi alla sterile lamentazione, e pertanto  proporre.

Veniamo alla parte destruens in tema di sanità, specialmente quella ospedaliera pubblica in Italia e mi dolgo specialmente della situazione nella mia terra di  provenienza, la Sicilia.

Tra le tantissime criticità ed emergenze, occorre evidenziare nel SSN la carenza del personale, sia medico che infermieristico e questo comporta che  medici ed infermieri lavorino spesso male e  sotto stress (con ogni conseguenza su possibili errori e prestazioni),  pagati  non in conformità al loro diritto e professionalità e talvolta persino aggrediti da pazienti stressati ed irritati dai lunghi tempi di attesa nei pronto soccorso. Si intende che niente e nessuno può giustificare  l’aggressione verbale o fisica. In Italia scontiamo nella sanità anni di sconsiderati tagli e di pochi investimenti, situazione che progressivamente sta portando il sistema al collasso e verso un regime americanizzato, nel quale chi ha la copertura di assicurazioni private gode di protezione, chi al contrario non ha mezzi economici per ricorrere all’ assicurazione o al privato, soccombe e  così il diritto di cui all’ art 32 della Costituzione non ha reale attuazione. Ricordo, ancora una volta, che tutti hanno il diritto alla pari dignità nell’ accesso alle cure e alla qualità delle stesse. Abbiamo bisogno di tornare ad una sanità che nello spirito, sia quella del Buon Samaritano, capace gratuitamente di andare incontro al ferito, abbracciarlo e farsi prossimo, persino pagano e di etnia diversa dalla sua.

La carenza di personale, come dicevo, rende spesso  scarsa la qualità della risposta, allunga in modo inaccettabile i tempi delle liste di attesa nelle visite ed esami (il Covid tra l’altro ha complicato la situazione), con esiti spesso fatali nel caso di malattie degenerative o tumorali e non giova, in tutto questo, la situazione di debolezza e spesso solitudine dei medici di base che, a causa di linee guida vecchie di anni e  mai rinnovate, per evitarsi guai giudiziari, prescrivono, spesso incalzati dai pazienti, esami non necessari. In questo modo si allungano e si ingolfano le liste di attesa a causa di quella che si chiama medicina difensiva. In sostanza, si invoca maggiore protezione giuridica al medico, segnatamente quello di base, tutelandolo  e rinnovando le  vecchie linee guida e protocolli.

Deve destare sconcerto la recente decisione, pubblicata sugli organi di stampa, del grande chirurgo oncologo prof.  Carlo Eugenio Vitelli il quale ha lasciato l’ospedale San Giovanni di Roma denunciando testualmente che: ” Nella sanità ospedaliera pubblica mi sono scontrato con tanta burocrazia, perdendo tempo prezioso per i pazienti, avevo una libertà pressoché nulla di scegliere i collaboratori e ho avvertito pesanti ingerenze della politica che compromettono l’ effetto salute atteso da noi e dai pazienti”.

Ancor più paradossale la situazione creatasi al Policlinico di Bari dove l’Ispettorato del Lavoro ha  punito  e sanzionato pecuniariamente tre medici del Pronto Soccorso del Policlinico  ” rei” aver lavorato di più durante il Covid salvando vite. Per fortuna è intervenuto saggiamente il Presidente  della Repubblica e la sanzione è stata sospesa.

Un altro problema  di non poco conto sono i pronto soccorso spesso in tilt, specie in estate, e  lo si deve alla carenza di personale, ma anche alla medicina del territorio non sempre adeguata. Se al contrario questa funzionasse come dovrebbe, si avrebbe un filtro e in ospedale e al Pronto Soccorso andrebbero solo i casi realmente urgenti. Aggiungo che anche tra i pazienti e nella popolazione deve crescere maggior maturità e senso civico evitando di recarsi al pronto soccorso per casi innecessari o peggio ancora, per risparmiarsi il costo della  visita specialistica, perché accade anche questo.

Questa situazione di caos, segnatamente nei reparti ospedalieri, determina talvolta errori sia nelle terapie, nella somministrazione dei farmaci, trasfusioni di sangue non sempre corrette, e persino   in sede  di interventi chirurgici.

Lo Stato ai medici che lavorano nel SSN dovrebbe assicurare stipendi adeguati e investire maggiormente sulla sanità pubblica (mi rendo conto che la coperta non è corta, ma cortissima), tuttavia con la legge di bilancio qualche risorsa in più si poteva  e doveva fare come varie volte giustamente invocato dal Ministro Schillaci e dal Presidente dell’Ordine dei Medici dottor Filippo Maria Anelli. Gli stipendi non adeguati e i turni massacranti fanno in modo che tanti valenti medici di strutture pubbliche decidano di lasciare e accettare l’invito del privato o peggio ancora andare fuori dall’ Italia con una intollerabile fuga di cervelli perché il pubblico non ha più appeal, in special modo nei reparti di pronto soccorso.

Questa situazione  che coinvolge il SSN, sta causando e lo dicevamo prima, una doppio binario intollerabile. Una sanità di serie A privata per chi ha mezzi ed invece una a scartamento ridotto e di B per chi non li ha: questo è ingiusto ed inaccettabile e viola il principio costituzionale di uguaglianza.

Un altro grave problema che non va sottaciuto, riguarda il servizio del 118 (urgenza emergenza). In molti casi le ambulanze viaggiano senza medici o infermieri a bordo (questo problema è particolarmente vivo e reale al sud e in Sicilia), circostanza che diventa molto seria in caso di codici rossi. Come non segnalare il caso di ambulanze inviate in e da luoghi distanti dal territorio di competenza e che talvolta arrivano con ritardo nel soccorso,  mettendo a rischio sia la sicurezza degli  equipaggi che la salute dei  pazienti. Non è da meno il caso di operatori di centrale che non coinvolgono o la fanno poco, la Medicina territoriale (Guardie mediche o medici di base) per la gestione delle urgenze, con carenza di scrematura tra casi di reale  urgenza e altri di modesta entità (codici bianchi o verdi) . Una situazione che contribuisce ad affollare  il sistema di per sé già in affanno.

Tra le altre criticità che meritano segnalazione: la elefantiaca burocrazia che affligge specialmente i medici di base, spesso costretti a svolgere atti amministrativi al posto  di curare, la scarsa integrazione con gli specialisti di organo, la progressiva emarginazione della politica sia nazionale che regionale, strutture in molti casi vecchie e fatiscenti, prive di idonee attrezzature tecnologiche all’avanguardia per diagnosi rapide ed efficaci, poca o scarsa digitalizzazione, strumentistica e vestiario ridotti o assenti, in particolar modo con riferimento alle Continuità Assistenziali.

Uno dei grandi mali della nostra sanità pubblica nasce dalla discutibile scelta del numero chiuso alla facoltà di Medicina e in specie dall’esame di ammissione, che così come strutturato, è a dir poco discutibile e ha causato  le esilaranti esternazioni di un noto politico campano, non nuovo a fragorosi e talvolta  evitabili  siparietti. Ci sia, al posto di quiz da Rischiatutto,  una seria e rigorosa meritocrazia durante il corso degli studi in grado di scremare e valutare all’ esame chi vale e chi no, chi deve andare avanti e chi invece fermarsi il tutto in base al merito, assicurando la parità di condizione in partenza.

Ultimamente in alcune città italiane hanno fatto capolino i primi pronto soccorsi privati. Non  ho nulla contro il privato che anzi deve collaborare lealmente ed onestamente col pubblico  sotto la sua rigorosa ed onesta supervisione, secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà. Tuttavia, temo che, come  dicevo prima,  questo sia l’inizio di una totale e  selvaggia privatizzazione delle cure, persino nelle emergenze: non è ammissibile.

Lo Stato ha il dovere di scommettere ed investire maggiormente sulla sanità pubblica e di operare una sana rimodulazione della spesa, evitando sprechi e sperpero di denaro pubblico e da questo punto di vista è giusto denunciare i tanti casi di malaffare che hanno portato alla lievitazione ingiustificata dei costi  di servizi, apparati e utensili. Talvolta neanche utilizzati, uno scandalo da accertare e punire.

L’attuale momento di ristrettezze economiche, e non è problema di poco conto, sta mettendo in serie difficoltà non solo la sanità pubblica, ma anche le strutture convenzionate e quelle di ispirazione cristiana che da sempre  sono esempi di eccellente sanità, pensiamo al Gemelli di Roma, al Bambin Gesù, al Campus Biomedico sempre a Roma, ma anche alle sofferenze gestionali causate da scarsità di mezzi  ed  accreditamenti regionali riferite ad eccellenze come La Casa Sollievo della Sofferenza, voluta da Padre Pio, il Miulli di Acquaviva delle Fonti, l’Opera Don Guanella, la Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, ex don Uva.

Identici problemi naturalmente concernono anche ospedali laici e pensiamo  alle recenti disavventure capitate a Palermo,  a Catania, Bari e a nosocomi invasi da insetti e  formiche come  successo a Napoli con ampio fragore mediatico unitamente alla scarsa manutenzione degli impianti aeraulici accaduta a Brescia e in Lombardia cosa che ha determinato l’insorgere di casi di legionella.

Anche se non strettamente collegate alla salute, ma comunque esercitanti un ruolo importante nel welfare degli anziani, sono le RSA ed anche qui le regioni e lo Stato dovrebbero essere più attente e generose con quelle  che svolgono adeguatamente il proprio lavoro. Ed invoco,  all’interno delle stesse, la presenza di telecamere di sorveglianza per prevenire abusi ed intollerabili atti criminali di violenza come quelli accaduti poco tempo addietro nel foggiano, oggetto di indagine penale. Il diritto alla privacy deve fare un passo indietro davanti a soggetti deboli e fragili, a tutela dei degenti, della serenità delle famiglie e dei lavoratori onesti.

E arrivo, per essere propositivo (parte costruens) ad un pericolo che si preannuncia all’orizzonte: parliamo della cosiddetta autonomia differenziata.

Non sono contro il principio ed anzi la Costituzione incoraggia correttamente il regionalismo. Tuttavia, nutro serie perplessità dopo l’attuazione del regionalismo  nella sanità, e bisognerebbe riconsiderare o rivedere quanto e se sia stata utile la riforma del titolo V della Costituzione dell’ ormai lontano del 2001. Davvero ha prodotto buoni risultati? O ha causato  negatività?. Il discorso ci porterebbe  lontano. Una cosa è certa e concordo con quanto saggiamente sostenuto dai Vescovi Italiani: la ventilata riforma Calderoli, in tema di autonomia differenziata, rischia di  collassare ulteriormente il sistema sanitario al sud, causando ulteriori disparità di trattamento tra cittadini italiani e dunque pone a rischio la stessa unità nazionale. L’autonomia differenziata in versione Calderoli, in poche parole, favorisce la sanità del nord di per sé già più funzionale rispetto a quella del sud, e in questo modo aumenterebbero i cosiddetti viaggi della speranza o turismo sanitario dal meridione verso il nord, con tutto vantaggio delle regioni settentrionali ed aumento di spesa per quelle del sud. Ricordo che i cittadini italiani, senza distinzione di origine, hanno diritto alla stessa qualità di cure e prestazioni sanitarie con i LEA uguali dappertutto.

Ho esternato queste considerazioni in quanto allarmato e preoccupato dalla situazione dell’attuale SSN in Italia e in Sicilia, cosciente che tutti i cittadini devono accedere pariteticamente alle cure e alla spesa farmaceutica.

Lo Stato abbia il coraggio di investire maggiormente sulla sanità pubblica, alla quale non offre molto. Un’ altra emergenza sulla quale bisognerà discutere è l’edilizia ospedaliera e alla fine si pone la necessità di un piano sanitario nazionale a lungo termine.

Sempre in ottica propositiva, rilancio la urgenza e la impellenza di potenziare la trascurata medicina territoriale. Essa è fondamentale sia in zone ove mancano presidi ospedalieri prossimi, sia per filtrare l’ accesso dei pazienti ai pronto soccorso e agli ospedali. Una capillare, valida e affidabile medicina del territorio contribuirebbe e notevolmente ad alleggerire il peso che grava sugli stressati ospedali e pronto soccorso.

Suggerisco anche di essere più audaci e meno conservativi  davanti alla “medicina integrata” una branca che non ha timore di includere terapie non convenzionali, valutando il paziente in modo olistico nella sua storia clinica, nel suo vissuto, nel suo sentire e nel suo spirito vitale.

Un altro correttivo potrebbe essere l’assunzione di nuovo personale medico ed infermieristico e in questa ottica non basta e si è spesso rivelata fallimentare, la chiamata di medici  a contratto provenienti da cooperative non sempre affidabili o addirittura dall’estero.

L’ emergenza Covid ha fatto drammaticamente venire al pettine tutti i limiti della nostra sanità pubblica e dovrebbe servire da monito per il futuro, anche se all’orizzonte non si vedono segnali positivi.

Concludo queste brevi note ricordando che la salvaguardia della salute è un problema che riguarda tutti, giovani e  anziani che sono una ricchezza da proteggere e non una zavorra fastidiosa. Aggiungo, che una  buona prevenzione riduce i costi sociali della sanità con vantaggio per tutti.  Si parla tanto e giustamente di ecologia e difesa dell’ ambiente, ma ricordiamo che al centro di esso ci sta proprio e prima l’individuo con la sua salute. Ecco, per una corretta ecologia, partiamo dalla tutela della salute della persona, specie dei non abbienti.

La medicina torni ad essere quella del Buon Samaritano e soprattutto un incontro tra  una fiducia, quella del paziente, e una coscienza, quella del medico. Bisogna evitare l’ingiustizia in base alla quale il povero che si ammala, viene perseguito due volte: dalla miseria e dalla malattia non curata adeguatamente e  in tempo. Non è giusto, non è umano e diciamolo pure non è cristiano, o conforme al diritto naturale e ai postulati di ogni credo religioso e ad ogni regola etica.

Sono certo che queste mie note non cadranno nel vuoto preso. Il tema trattato è urgente e spesso addirittura drammatico. Abbiamo bisogno di risposte rapide, certe e soprattutto adeguate alla gravità dei problemi.

 

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