Un libro da leggere: “Pagine dal deserto” di Anna Raisa Favale

di Matteo Orlando

NELL’ATTESA CHE DIO FACCIA NUOVA LA MIA VITA

“Ho preso una barca, un giorno di alcuni mesi fa, e ho puntato verso il largo. Nella realtà era un aereo, ma nel mio cuore era una barca. Ho preso una barca, con le ultime energie rimaste e il cuore a pezzi, e ho navigato nei mari aperti della vita. Erano le Filippine, ma nell’anima era il mio vuoto cosmico. Il mio buco nero. Ho preso una barca e ho viaggiato negli anni, ho ripercorso le cose successe. Le scelte, le grazie, le ferite ricevute e inferte. Sono tornata nel passato, ho fatto preghiere che parlavano al fu turo, ho pianto lacrime intergenerazionali e innaffiato piccolissimi semi di una vita silenziosa e nuova, un po’ più nuova, che cresceva un giorno dopo l’altro. Ho preso una barca, senza voltarmi indietro, e ho trascorso due mesi in un convento. Era un convento alla fine del mondo, tra i monti di un’isola lontana. Distrutto qualche tempo prima da un tifone, soltanto una piccola cappella era rimasta in piedi: con una stuoia di bambù, un tavolo per altare, le finestre di stipiti di legno vecchio e marcio, decine di candele, foglie di banana e palme, e la pioggia fuori, incessante, e in assoluto silenzio, era il luogo più bello del mondo. Perché c’era Gesù. Gesù e basta, intere ore del giorno e della notte. Ai Suoi piedi quando non avevo la forza di reggermi sui miei. Quando non comprendevo il senso. Quando alla vita ho dovuto fare una vera riabilitazione, e il cuore mi faceva così male che non riuscivo ad incontrare estranei senza che l’ansia mi salisse in gola, o restare troppo tempo sola prima di scoppiare in pianto. Quando era la paura a svegliarmi al mattino, e sembrava che niente avesse avuto senso e tutto fosse stato inutile: il dolore, l’amore, il sacrificio; che la vita non potesse più donarmi alcune cose, e soprattutto che non ne fossi degna. I pensieri umani, nei momenti di dolore senza Dio, sono un tunnel di buio profondissimo, le tentazioni più terribili bussano alla mente e la speranza sembra persa. Ma vicino a Gesù, tutto cambia. Succedono cose, vicino a Gesù. È un fuoco sacro che ci brucia. Il Mistero che si manifesta. Lo sguardo che ci salva. Contemplandolo per ore, alla fine si giunge a condividerne un po’, di quello sguardo. In quei mesi, ho viaggiato negli universi del Suo amore, e questo libro lo scrivo per continuare a camminare, e condividere un po’ di questa guarigione, sperando possa aiutare qualcun altro. Devo ancora capire troppe cose, ma la testimonianza che posso dare, ora, è questa: non c’è cosa che la presenza di Gesù non può guarire. Niente al mondo. Lui è più grande, più forte, vittorioso. E in Lui, tutto si può. Alla fine di questi mesi, mi ha liberato dall’Egitto, ha combattuto il Faraone delle mie ferite per me. E poi ha aperto il Mar Rosso. Miracoli che secondo la ragione non erano possibili, che solo la Sua mano potente poteva realizzare. Adesso, dopo il Mare aperto, sto vivendo il mio Deserto. Quel momento di pura libertà, ma anche di prova, d’instabilità, solitudine interiore, spogliamento e tentazione mai facile da vivere, eppure necessario per giungere a destinazione: la Terra Promessa. Ma il Deserto è anche il luogo del ricordo. Per tutti i piccoli, gran di miracoli che Dio ha fatto per noi e nella nostra storia. Per ricordare tutte quelle volte che ci ha salvato da noi stessi e ci ha condotto verso acque cristalline, e ci ha fatto nuovi. Per essere più Suoi, nei tanti modi in cui il Signore chiama. Condivido questo pezzo di strada con voi, e da qui vi scrivo del le pagine che possano parlare anche al vostro cuore. Pagine dal Deserto”.

Comincia così “Pagine dal deserto” (Berica Editrice, 160 pagine, 14,50 €), opera prima di Anna Raisa Favale, giovane regista e sceneggiatrice salentina (classe 1986), che dopo aver lavorato per un’emittente cattolica di New York, TeleMATER, ed essere stata direttore artistico del Dipartimento Video del portale internazionale Aleteia, si cimenta, con grande acume (anticipiamo), nella scrittura.

Anna Raisa Favale, ha fatto dell’evangelizzazione la sua vocazione. E le esperienze vissute in Africa, in Messico e in Territorio Israelo-palestinese, dove ha servito in progetti di Missione, dalle carceri ai campi profughi passando per i centri di igiene mentale, hanno certamente influito nello scritto che consigliamo ai nostri lettori.

Leggendo il libro, scritto con uno stile profondo ma comprensibile da qualsiasi lettore, non si può non notare che la Favale è un’innamorata dell’umanità e lo è perché in primis è una innamorata di Gesù Cristo.

“Ognuno di noi attraversa i propri Deserti: sono quelli dell’instabilità, del dolore, della solitudine, dell’incertezza, dello spogliamento. Sono aridi, difficili e lunghi. Ma c’è un modo di viverli nella grazia e con fede. Ricordandoci delle meraviglie che Dio ha compiuto per noi, e custodendo il nostro cuore nel Suo amore che vuole solo darci, e mai toglierci. Farci nuovi, condurci alla Terra Promessa. Perché non importa da dove veniamo o cosa sia successo: siamo tutti infinitamente preziosi e infinitamente amati, e nostro Padre, il Re dell’Universo, salverà le nostre vite e ci farà portare frutto. Questi sono piccoli pezzi della mia vita e del mio Deserto, mentre continuo a camminare attendendo il mattino. Figli e figlie di Sion, alzate la testa e asciugate le lacrime: il vostro Signore è qui e vi chiama a nuova vita”, ricorda l’autrice.

“Quando i Mienmiuaif – Mia moglie ed io mi chiesero qualche mese fa se volevo scrivere un libro di testimonianza, non sapevo cosa raccontare, ma fu come ricevere un invito da Dio. Come se attraverso di loro, Dio mi stesse invitando a dargli gloria. Di libri iniziati ne avevo tanti, ma nessuno sembrava quello giusto. Il tempo era poco, e trovavo difficoltà a scrivere al di fuori di quel Deserto che stavo vivendo. Il Deserto, una condizione spirituale a cui non veniamo preparati, e della quale si parla troppo poco, anche all’interno della fede, nonostante i deserti siano luoghi che attraversiamo tutti, per le ragioni più diverse, ma che per tutti si possono nominare come luoghi di difficoltà, instabilità, dolore, attesa e solitudine”, confida Anna Raisa Favale. “E allora ho scelto di dare questa testimonianza. Di condividere quello che stavo attraversando, per aiutare me per prima a sviscerarlo meglio, e aiutare qualcun altro che l’avrebbe letto, che come me sentiva di aver bisogno di qualche coordinata in più. Non avevo quasi niente da offrire, in quel momento. Avevo però i miei pochi pani e i miei due pesci, e quelli ho offerto. Sapendo che è Lui a farli, i miracoli, e non io. E sapendo che Dio non ci chiede di dargli tanto, ma di dargli tutto, anche qualora quel tutto fosse molto poco. Questo Vangelo mi ricorda che Dio ci trova nella nostra aridità e nella nostra povertà, e non nell’abbondanza. Perché della nostra vita non vuole niente, ma del nostro cuore tutto. L’unica cosa che Gesù ci chiede è di porgli nelle mani la nostra fiducia. Di mettere la nostra vita, per quanto piccola, al servizio Suo e degli altri, cosi che possa sfamare chi crede abbia bisogno”.

In 26 brevi capitoli (qualche titolo: “V. Ricordi dal deserto: la Palestina”; “VII. New York e i desideri che non esprimiamo”; “XIII. Pro-life a New York”; “XV. Guadalupe”; “XVII. Medjugorie”; “XIX. La perdita del lavoro”; “XXV. Il “Kintsugi” e la volontà di Dio per noi) l’autrice ci ricorda che “quello che davvero fa resistere e continuare a camminare è la ricerca di una felicità che non ci appaga fino a quando non torniamo al nostro cuore” e da lì scopriamo Dio.

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