Di fronte al dolore non siamo più in grado di reagire come Dio comanda!

di Matteo Castagna

SAPER SOFFRIRE…

Di fronte al dolore, non siamo più in grado di reagire come Dio comanda. Evidentemente, questo non vuole essere un rimprovero nei confronti di tutti coloro che, ogni giorno, combattono contro mali incurabili o menomazioni fisiche e psichiche terribili, coinvolgendo, ovviamente, tutta la famiglia, oltre ad estranei, soprattutto gli O.S.S. (Operatori Addetti all’Assistenza) che sono autentici “angeli domiciliari” o nelle apposite strutture sanitarie, per premura e puntuale servizio. Esistono situazioni che fanno, davvero, stringere il cuore, perché chiaramente strazianti. Una sofferenza vissuta cristianamente può, però, trasformarsi in un tesoro di virtù salvifiche per l’eternità.

Il fine di queste righe è quello di cercare di dare sollievo a chi soffre, affinché si convinca che il suicidio, di cui il partito radicale di massa ha fatto una bandiera ideologica, non è la soluzione. Presuppone che la vita sia cosa propria o dello stato. La Vita è del Creatore di tutte le cose, visibili e invisibili. L’uomo, essere mortale a seguito del “peccato originale”, può scegliere tra rendere la sua sofferenza meritoria, oppure soffrire, in perdita, e senza profitto – come scrive Padre Frédéric Rouvier (1851-1925) in “Saper soffrire” (Ed. Fiducia, 2023, Eu. 14,00), opera meritoriamente ristampata, assolutamente da leggere, che fu incoraggiata dal Cardinale Merry del Val, quando era Segretario del Sant’Uffizio, prima di divenire Segretario di Stato di Papa San Pio X.

Partiamo dal presupposto per cui la sofferenza è assolutamente inevitabile. Per volere di dio, può, a determinate condizioni, realizzabili da noi, diventare soprannaturalmente meritoria. La sofferenza raggiunge l’umanità per ordine di Dio o col suo permesso per portare doni preziosi. Ha in sé tanto di che provare ed arricchire chi è già buono, nonché purificare e salvare chi, non essendolo più, vuole ritornare ad esserlo.

“Invece, il peccatore che la respinge e le si rivolta, aumenta la propria colpa e accresce i motivi per cui un giorno sarà condannato”. Sant’Agostino insegna che “viene la tribolazione: e sarà ciò che tu vorrai, o prova ovvero dannazione, quale ti troverà, tale sarà” “La tribolazione è un fuoco. Trova oro in te? Ne toglie le scorie. Trova paglia in te? La riduce in polvere” (Serm. 87,7). Il teologo Mons. Jacques Bénigne Bossuet, nel suo “Discorso sopra la sofferenza” (fine ‘700) commenta le parole di Sant’ Agostino su Gesù Cristo al Calvario: “Tres erant in cruce: unus Salvator, alius salvandus, alius damnandus”, osservando: “nel mezzo c’è l’Autore della grazia, da un lato uno che ne approfitta, dall’altro uno che la rigetta. Accanto al Messia, uno sopporta con sottomissione, l’altro si ribella fin sotto la sferza”.

Per evitare che la sofferenza sia inutile, occorre riconoscersi peccatori, ovvero disobbedienti nei confronti dei comandamenti di Dio e delle Sue leggi, a partire dal diritto naturale e quindi sentire di meritare le tribolazioni per questo motivo, così da considerarle in veste espiatoria, nonché riparatoria, per sé e per i peccati del prossimo, in un estremo atto di autentica carità spirituale, che comporta contrizione, la necessità di una confessione sacramentale, e, al momento del trapasso, il dono della salvezza eterna, nella visione beatifica di Dio in Paradiso, per sempre. Sant’Agostino nota che non sono già i tormenti che fanno il martire, ma la causa per la quale uno li subisce (“Non facit martyrem poena, sed causa”. Sermo 327). Allo stesso modo, non è giò la sofferenza che purifica, che solleva, che salva, ma le disposizioni dell’anima, con le quali uno le si sottomette e la sopporta.

Quale è la giusta disposizione dell’anima? Quella dell’imitazione del divino Maestro. Se si accetta la sofferenza con spirito di Fede e in conformità con la volontà di Dio, diventerà una delle principali collaboratrici per la salute eterna. Il grande mistico Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, nel libro: “Pratica di amar Gesù Cristo”, (c. V, n.1) chiarisce mirabilmente il concetto: “porti dunque la sua croce, e la croce porterà lui, in quella maniera appunto che le ali, che l’uccello porta, a loro volta portano l’uccello stesso nell’azzurro luminoso del cielo”. Non è facile. Tutt’altro. Chi scrive l’ha vissuto fin dall’adolescenza, perdendo i genitori a causa di mali incurabili e imparando dalla loro grande dignità e dal loro esempio, tra atroci sofferenze, che la via di saper soffrire per un fine soprannaturale, è l’unica che dà sollievo, serenità e pace interiore.

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