Quell’unico evento che ricorda la nascita del Signore Gesù nella carne

di Giuliva Di Berardino

DAL “SOL INVICTUS” AL NATALE

Il Natale è la festa liturgica in cui si fa memoria della nascita di Gesù Cristo. Certamente non tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che Gesù Cristo sia nato il 25 dicembre dell’anno zero, dato che ormai tutti sappiamo che questa data potrebbe essere un adattamento cristiano del calendario pagano che celebrava in questo giorno la festa del Sol Invictus.

Ora, il fatto che i cristiani continuino a celebrare il Natale nonostante tutte le incertezze che emergono dai dati storici, non tanto dell’evento della nascita di Cristo, ma proprio della sua collocazione temporale, non ci preoccupa più di tanto, perché, per la liturgia della Chiesa, più che il valore storico, conta il valore della verità di questo evento, di questo annuncio: è nato per noi il Salvatore!

Attraverso la celebrazione di questo evento, annunciato dai Profeti così come dagli angeli, come attesta il racconto della nascita di Gesù in Lc 2, 1-20, la nascita del Figlio di Dio nella carne diventa memoria, celebrazione. Così, ad esempio, non ci spaventa neppure il fatto che, se il 25 dicembre è Natale per tutte le Chiese cristiane romano-occidentali di calendario gregoriano, per quelle romano-orientali, per le chiese slavo-ortodosse, siriache e copte, la festa del Natale cada il 7 Gennaio.

La liturgia ammette tradizioni cultuali e culturali diverse, ma celebra un unico evento che ricorda la nascita del Signore Gesù nella carne. E con “nascita nella carne” intendo, la nascita del Signore tra gli uomini e le donne della terra, in una terra preceduta da una storia santa, di un popolo che ha vissuto la storia di un’elezione unica: il popolo che per primo ha riconosciuto Dio come autore e fine della storia umana universale. I cristiani credono, quindi, che quel Dio che ama tutti, per salvare l’umanità, ha fatto dono di sé stesso, assumendo la natura umana, in Gesù. Questo evento di grazia è quindi un evento che segna la redenzione dell’umanità intera, perché Cristo Gesù, facendosi Bambino, inizia una storia nella carne che non finisce né con la sua nascita, né in un momento specifico della sua vita terrena, né nella sua morte, ma, come già dal principio del tempo, il Dio-Figlio incarnato nell’uomo Jeshua, Gesù, compie il mistero della Redenzione d’Israele e dell’umanità intera nella Risurrezione della carne, mistero che ancora oggi la Chiesa attende, con fede. Natale è quindi la festa del ricordo della nascita del nostro Salvatore Gesù Cristo, in virtù della sua Pasqua eterna, che si rinnova ogni anno e ogni giorno, nel corso della vita di un credente. È interessante, allora, che la festa del Natale sia stata considerata da sempre la festa del dono: il dono che il Padre ha fatto all’umanità, a ciascuno di noi. Davanti a questo mistero, se ci facciamo caso, si verifica un miracolo, talmente “nascosto” nella nostra realtà umana che non ci facciamo più caso. Se infatti è vero che c’è una diversità nell’intendere il Natale, e nel viverlo, tra credenti e non credenti, in un certo senso, potremmo dire che la festa del Natale nonostante tutto resta comunque patrimonio della cultura universale, in quanto, anche al di là del contesto di fede, sembra impossibile non riconoscere il valore del Natale. Proprio giorni fa correva sui social la notizia della proposta fatta dal  parlamento europeo di abolire il Natale, proposta che poi non è stato possibile realizzare.  Questo ci fa comprendere che il Natale è una verità profondamente umana, tanto che, lo si voglia o no, questo evento prova la presenza di Dio tra gli uomini e le donne oggi, anche se non ce ne accorgiamo. Facciamoci caso: quando tra le persone avviene un semplice scambio di doni, se lo scambio è vero, accade qualcosa nel cuore.  Si sente, in qualche modo, la presenza di Dio, si sperimenta la gioia di donare e di ricevere, la gioia di manifestare, secondo quello che possiamo umanamente, l’amore di Colui che tutto ha donato di sé, perfino il suo unico Figlio.

È questo l’unico vero dono per il quale si può offrire rispetto, venerazione e adorazione. Natale è celebrare con il nostro piccolo dono, il dono della Salvezza, una salvezza reale, non astratta, perché il dono del Padre, per chi ha fede, è proprio quell’uomo che porta nome Salvezza: Gesù, Jeshua, figlio di Maria, che i Vangeli ci identificano anche come “figlio di Giuseppe” di Nazareth, l’uomo giusto della stirpe di Davide (Mt 1,15-16; Lc 3,23). Questo dono del Padre fatto a Israele per la salvezza dell’umanità intera è quindi il Bambino nato a Betlemme, luogo del compimento messianico, come profetizzato da Michea (5,1-4): “E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.” Questa profezia, come quella di Isaia 53, identificata come la profezia del “servo sofferente” sono prove, che ritroviamo nelle Scritture, del fatto che Gesù di Nazareth, nato a Betlemme, è il Figlio Unigenito di Dio, Colui di cui i credenti cristiani professano nel giorno del Signore: “patì, sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”.

La Chiesa, quindi, festeggia la memoria del Natale come mistero di luce e di gioia, mistero che rivela e annuncia la salvezza per tutti, nell’unico e vero dono del Padre per noi, che è Gesù, nato come un piccolo Bambino, a Betlemme, luogo messianico, come dicevo, il cui termine significa “casa del pane”, luogo quindi della condivisione, della famiglia che riesce a togliere la fame che ciascuno si porta dentro: il desiderio profondo di essere saziato, di stare bene, di vivere in pace.

Natale è esperienza della pace che segue il dono della salvezza, quella pace che è pienezza di gioia e compimento, in Gesù, di ogni speranza, di ogni attesa: lo Shalom di Dio, che tutti siamo chiamati a vivere in questa vita e per l’eternità.

In questi giorni così vicini al Natale, quindi, fermiamoci a considerare cosa possiamo imparare dal piccolo Bambino di Betlemme, e prima di considerare cosa noi possiamo offrire a un Dio che si fa così piccolo, bisognoso delle nostre cure e della nostra tenerezza, accogliamo ciò che Egli desidera donarci, impariamo da Lui, dal Bambino divino, a essere dono per gli altri come lo è Lui: facendoci piccoli, riducendo noi stessi davanti agli altri, riducendo almeno di un po’ il nostro ego, il nostro bisogno di primeggiare sugli altri, di vantarci, di ritenerci superiori agli altri, di ergersi contro un’altra persona per qualsiasi motivo, anche legittimo e vero. Gesù Bambino è lì, adagiato in una mangiatoia da sua madre, senza reclamare nulla, senza pretendere nulla da chi gli è vicino, da chi non si cura di Lui e neppure da noi. Mettiamoci un po’ di tempo davanti al presepio, come ha fatto San Francesco che ha saputo fare della sua vita un canto alla bellezza della povertà e della semplicità del piccolo Gesù. Restiamo davanti al Signore Dio che si fa bambino, perché ci doni almeno un po’ di contemplare e di realizzare nella nostra vita questo amore che si abbassa e si fa piccolo, amore di tenerezza e di eterna bellezza, amore che ci salva.

 

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Tutte bellissime riflesioni, una visione molto più ampia dello spirito cristiano, coinvolgente e non restrittiva; é un’apertura di braccia protese verso tutti e disponibile a ricevere altre opinioni e riflessioni. Interessa lo spirito, la simbologia che mantengono viva la fede. Bellissimo l’accostamento a S. Francesco che per me è il Santo dei Santi, colui che ha interpretato come nessuno lo spirito cristiano ed è vissuto da vero cristiano. Ha saputo interpretare ed insegnare il vero amore per tutti gli esseri viventi, è stato, e continua ad essere, il portatore e testimone della vera gioia. Se ognuno di noi avesse un pizzico dello spirito francescano, oggi non avremmo bisogno di affannarci per salvare il pianeta perché ci sarebbe molto più equilibrio sulla Terra. Purtroppo, finché prevarrà il dio lucro sfrenato per gran parte degli esseri pensanti, stiamo andando alla deriva. Complimenti Giuliva, riesci a tramettere gioia, a more e SPERANZA.