La follia di rappresentare l’artefice di stragi e carestie nell’ambito di un’icona cristiana…

di Matteo Orlando*

L’ICONA (E IL QUADRO) DI STALIN

Un devoto Iosif Stalin (1879-1953) in piedi, la mano infilata nel lungo, distintivo cappotto, accanto alla veggente venerata come santa dalla Chiesa ortodossa russa Matrona la Cieca (1885-1952). Questa la blasfema icona che esalta un dittatore spietato che è stato artefice tra gli anni Venti e Trenta di feroci persecuzioni, fra l’altro, contro la stessa Chiesa ortodossa, radendone al suolo i luoghi di culto e ordinando l’esecuzione di decine di migliaia di religiosi. 

Nel quadro Stalin è raffigurato come un credente e ciò che è ancora peggio è che questa “icona” è stata recentemente esposta nella principale chiesa georgiana, l’imponente Cattedrale di Sameba, nel cuore di Tbilisi.

Non desta stupore quindi che il 9 gennaio 2024 una donna georgiana, Nata Peradze, ha imbrattato per esasperazione e indignazione con della vernice blu il quadro, pubblicando subito dopo sui social media un video nel quale spiega il suo gesto di protesta. Le autorità di polizia hanno definito quello dell’attivista anticomunista “un atto di vandalismo”, condannandola ad una pena vessatoria (5 giorni di reclusione ai domiciliari). In realtà, erano e sono molti i georgiani rimasti offesi per la blasfema icona, donata alla Cattedrale della Santissima Trinità di Tbilisi nel 2023, ovvero in occasione del 70esimo anniversario della morte del dittatore comunista. La c.d. opera d’arte era stata dai leader dell’Alleanza dei patrioti della Georgia, un partito nazi-comunista che, fra l’altro, ha anche un orientamento filorusso.

Mentre la blasfema icona di Tbilisi è stata ripulita e rimessa al suo posto, la vicenda di apparente fantasia che riguarda sempre il dittatore georgiano ed è contenuta nel romanzo del poeta e saggista Francesco Bellanti Il quadro di Stalin (Carello Edizioni, Catanzaro 2023, pp. 158), testimonia di un quadro di Stalin definitivamente scomparso in un paese della Sicilia Occidentale che lo scrittore chiama Almeda ma che somiglia molto al suo paese d’origine, cioè Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento. 

Il quadro di Stalin è opera dall’originale impianto narrativo e dai tratti visionari e fantastici, dov’è palpabile non a caso una profonda formazione umanistica attenta alla storia, alla cultura popolare e alla politica. Il romanzo trae spunto dalla storia vera della scomparsa di un quadro di Stalin in occasione della chiusura di una sezione comunista siciliana, ma s’intreccia significativamente con un’analoga vicenda che riguarda Adolf Hitler (1889-1945), l’altro protagonista assoluto del secolo delle idee assassine, come ha giustamente definito il Novecento lo storico britannico Robert Conquest (1917-2015). 

La storia, in breve, è questa. Nel 1980 scompaiono nello stesso giorno un quadro di Stalin dalla sezione comunista e un quadro del Führer dalla sezione del partito neofascista, cioè l’allora Movimento Sociale Italiano (MSI). I due fatti, apparentemente, non presentano nessun collegamento. Un giovane militante comunista, che ha vissuto nell’Est Europa ed a Mosca, porta scompiglio fra i suoi compagni parlando male del cosiddetto socialismo reale. Il tutto in un tempo molto particolare come quello della vigilia del passaggio nei Paesi dell’Est dal comunismo al regime democratico. Nel contesto di questa vicenda, la narrazione si dipana in modo umoristico e pittoresco tra un’indagine grottesca di un Maresciallo dei Carabinieri e un’inchiesta dilettantesca di due giovani informatori comunisti e di alcuni militanti della sezione comunista, novelli e fantasiosi Sherlock Holmes in giro per il paese tra mafiosi, studiosi, maghi, politici, feste paesane, comizi, elezioni comunali, storie di adulteri, pettegolezzi, avvenimenti bizzarri e drammatici. Tra questi ultimi, la storia di un pittore comunista pentito, diventato pittore di Madonne dopo aver dipinto il quadro di Stalin e un cineteatro che brucia dopo la proiezione di un film sulla battaglia di Stalingrado (combattuta nella seconda metà del 1942 tra le forze della Wehrmacht e quelle dell’Armata Rossa) e prima di un documentario sulle elezioni comunali del paese. Vanno a fuoco anche la falegnameria del segretario missino proprietario del quadro di Hitler e un negozio di una famosa popolana. 

Nel romanzo si snodano insomma storie di matrimoni infelici e di donne passionali, di rancori e di sentimenti profondi con alla fine una storia d’amore che emerge alla base della scomparsa del quadro di Stalin. Sullo sfondo un’atmosfera primaverile e “magica” di un paese lontano dal terribile terrorismo politico dell’epoca e dalla criminalità mafiosa, nel quale i sogni erano possibili. Il prof. Bellanti, con uno stile veloce, quasi cinematografico, realistico e sognante a un tempo e un linguaggio coerente con la personalità e i caratteri dei personaggi rappresentati, permette insomma di immergersi in un tempo e in un ambiente che lo scrittore ha conosciuto bene perché ha vissuti quei tempi e quegli ambienti. 

Il romanzo è un affresco autentico di una società, un ritorno alla giovinezza, a un mondo dove ancora si credeva alla politica e la politica dava ancora risposte ai bisogni e alle esigenze del popolo e la gente credeva ancora nei valori della religione, della politica e delle ideologie. Un mondo dove si credeva ancora al futuro e ai sogni, alla purezza dell’amore, all’impegno politico. 

Nel romanzo ritorna una Sicilia che sembra un teatro a cielo aperto, nel quale le strade e le piazze diventano quasi scenari teatrali o cinematografici, nel tempo di passaggio dall’isola del miracolo economico con una identità storica definita alla Sicilia moderna multietnica e multirazziale, internazionale e interculturale, allucinante ed effervescente.

Come nei suoi precedenti romanzi Storia scellerata e Il Cardinale e il labirinto di Dedalo, Bellanti delinea a tutto tondo nel quadro di Stalin l’identità siciliana. Il lettore è immerso in un tempo visionario e fantastico sospeso tra realtà, leggenda, folklore, superstizione, storia, tradizioni e cultura popolare, quello che potremmo definire – seguendo schemi màrqueziani – il realismo magico siciliano. Insomma, il mondo reale e magico dell’estetica dello stesso autore di un’opera originale e visionaria come Dialogo con il Führer – Giorni d’estate a Berchtesgaden (Fuoco Edizioni, Roma 2021, pp. 528), nel quale s’immagina una lunga conversazione tra uno psichiatra italiano e il Führer al Berghof, la residenza estiva di Berchtesgaden, in Baviera, del Cancelliere del Terzo Reich. Si tratta di un’opera fondata su documenti originali e su testi classici e moderni dei più grandi studiosi del “fenomeno” Hitler, un’analisi spregiudicata della personalità più titanica e gigantesca della storia mondiale, del più grande demagogo di tutti i tempi e dell’uomo che si innalzava sugli altri come un genio ma che, almeno finora, non si è avuta la follia di rappresentare nell’ambito di un’icona cristiana…

 

Articolo pubblicato sul  n. 4/2024 del Corriere del Sud

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