Galgano e la spada nella roccia

di Pietro Licciardi

TUTTI CONOSCONO LA LEGGENDA DI RE ARTU’ E DELLA SPADA NELLA ROCCIA MA POCHI SANNO CHE VICINO SIENA UNA SPADA CONFICCATA IN UN MASSO ESISTE VERAMENTE E APPARTENNE AD UN SANTO

Probabilmente in molti ricorderanno il film della Disney “La spada nella roccia”, che narra di un giovinetto di umili origini, un certo Artù, che per essere riuscito ad estrarre una spada saldamente conficcato in un masso si rivela essere il prescelto per diventare Re, fantasiosa trasposizione delle leggende che ancora oggi si ricordano a proposito della mitica figura di Re Artù e dei suoi cavalieri della tavola.

Scommettiamo però che pochi sono a conoscenza del fatto che una spada nella roccia esiste sul serio e si trova proprio qui in Italia. In Toscana, dalle parti di Siena.

La spada appartenne ad un giovane cavaliere nato a Chiusdino nel 1148, forse in una delle famiglie nobili presenti nel XII secolo, nel borgo dove ancora è conservata la casa natale: un palazzotto quasi alla sommità del paese in contrada della Torre, presumibilmente allora territorio del Vescovo di Volterra. Il nome Galgano, che ha una certa assonanza col Galvano, uno dei cavalieri arturiani della tavola rotonda, gli fu dato forse per un voto fatto all’arcangelo Michele e un pellegrinaggio presso il suo santuario, che sorge sul Gargano, dai genitori che tardavano ad aver prole. All’epoca infatti era molto forte, anche nel cuore della Penisola, la devozione per l’arcangelo e la stessa pieve di Chiusdino era dedicata al Principe delle milizie celesti.

Non sappiamo il motivo che spinse il giovane ad intraprendere il mestiere delle armi. Probabilmente l’accesso di Galgano alla cavalleria fu la naturale conseguenza della sua appartenenza ad una famiglia che esercitava tradizionalmente la funzione ufficiale di rappresentanza e di tutela dell’ordine costituito; una sorta di mano armata del principe, in questo caso il vescovo di Volterra, per la protezione delle terre e dei beni della patria, da intendersi come il paese ed il distretto di Chiusdino.

Nel XII secolo la cavalleria non aveva assunto i connotati di confraternita onorifica riservata ai nobili, pertanto il cavaliere era, per così dire, un professionista delle armi, da lui impugnate quale agente ausiliario del potere. Del resto non vi è alcuna documentazione dell’appartenenza di Galgano a qualcuno dei grandi ordini monastico-militari, quali quello del Tempio o quello dell’Ospedale che arriveranno a Chiusdino solo dopo una cinquantina di anni dopo la sua morte. Tuttavia c’è da pensare che la vita militare abbia positivamente formato il giovane chiusdinese.

Già san Paolo aveva paragonato la vita del cristiano a quella del soldato romano, poiché fatta allo stesso modo di obbedienza, disciplina, coraggio, abnegazione, ed aveva esortato i fedeli a prendere le armi di Dio contro le insidie del demonio, rivestiti di una armatura spirituale. Nel XII secolo, poi, san Bernardo di Clairvaux, aveva propugnato un’interpretazione della cavalleria come militia Christi in opposizione alla militia saeculi, e del cavaliere come «ministro di Dio per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti», mostrando valenze religiose e possibilità ascetiche che la militia saeculi aveva perso di vista: il cavaliere, per il grande teologo, è colui che pone il suo braccio a servizio della Chiesa, accantonando interessi terreni e volontà di potenza, colui che agisce in difesa dei deboli e degli oppressi e contro i soprusi dei violenti e dei nemici della Fede.

Fatto sta che – si legge negli atti del processo di canonizzazione – ad un certo punto della sua vita Galgano giunto sul colle di Montesiepi scese da cavallo e, secondo le testimonianze «poiché non era capace di fare una croce con del legno», tolse dal fodero la sua spada e la piantò «per terra», «pro cruce», al posto della croce, come se fosse una croce. Un gesto che non fu un rifiuto della militia saeculi, ma la superò, la trascese. Non rinunciò alla spada ma la pose al servizio di una cavalleria diversa da quella vissuta fino ad allora e soprattutto più alta, così come la sua conversione esigeva. Capovolgere la spada e conficcarla in terra a modo di croce significava ribaltare la destinazione dell’arma: da strumento di violenza, ancorché in difesa del diritto, a simbolo e strumento di riconciliazione fra Dio e gli uomini e quindi di salvezza.

Con questo gesto dunque, il cavaliere Galgano arruolò se stesso nella milizia di un dominus ben più grande di quello terreno, il Signore Gesù Cristo, di cui, nel sogno, aveva contemplato la Divina Maiestas. Galgano divenne quindi un eremita trascorrendo il resto della sue esistenza proprio a Montesiepi dove edificò il suo eremo e dove ancora oggi, sotto una teca è possibile vedere la sua spada saldamente infilata sul terreno diventato roccia.

Per chi volesse saperne di più su questo santo Mario Arturo Iannaccone e Andrea Conti hanno scritto il libro “La spada e la roccia: San Galgano, la storia, le leggende”, pubblicato nel 2007 dalla casa editrice Sugarco di Milano e acquistabile on line.

 

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