Lager, gulag e laogai. I luoghi dell’orrore

di Pietro Licciardi


ANCHE LA DEMOCRATICA GRAN BRETAGNA E GLI STATI UNITI INFIERIRONO SU CIVILI E MILITARI INTERNATI

Prosegue la nostra intervista con lo storico Marco Cimmino sui campi dell’orrore, che hanno caratterizzato la storia del Novecento. Nati per contenere le enormi masse di prigionieri nelle guerre combattute dagli eserciti di massa, che hanno fatto la loro comparsa dopo la Rivoluzione Francese, sono stati utilizzati anche per rinchiudere i civili dei Paesi nemici diventando con i totalitarismi del XX secolo luoghi di sterminio.

Professore, nella seconda guerra mondiale rifecero la loro comparsa i campi di concentramento per i civili. Sappiamo tutto del vasto sistema dei lager nazisti che ricordava molto quello dei gulag sovietici, ma molto meno di quelli negli Stati Uniti, in cui furono rinchiusi i Nisei, ovvero i giapponesi che vivevano in America.

«Il punto chiave è che ad essere internati furono cittadini americani. I Nisei erano cittadini americani e non cittadini giapponesi. La politica statunitense di detenzione di cittadini americani di origine giapponese fu una palese manifestazione di razzismo. Non furono messi in campi di concentramento in quanto nemici dell’America, cosa che in Italia è avvenuta per gli ebrei. Quando fu creata la brigata ebraica che combatté a fianco degli inglesi la comunità ebraica divenne ufficialmente nemica dell’Italia in guerra. Ma quelli erano cittadini americani appartenenti ad una etnia ritenuta nemica».

Anche la democratica America quindi ha qualche scheletro nell’armadio…

«Pure con gli italiani fu usata la mano pesante, specialmente nei confronti di quelli considerati irriducibili, che si rifiutavano di abiurare, e per questo avviati nei fascist criminal camp che certo non furono campi di sterminio ma in cui ci furono angherie e morti. Questo non solo negli Stati Uniti ma anche in Kenia e altrove. Mio zio ad esempio è stato preso a El Alamein e deportato in Tibet, dove gli inglesi erano cattivissimi e si comportavano in una maniera indegna. Verrebbe da dire che nei confronti dei prigionieri le nazioni civili hanno mostrato il loro lato peggiore. Il prigioniero inerme diventava oggetto di manifestazioni di sadismo e inutile crudeltà».

Rimaniamo nei civili e democratici Stati Uniti, dove secondo James Bacque nel suo libro suo Other Losses sostiene che le condizioni di vita dei prigionieri di guerra non fossero molto diverse da quelle dei Gulag e dei Lager nazisti e dove un buon numero di tedeschi e italiani morirono di fame e malattie. Anche l’ex militare americano Louis Keefer, in un suo libro ha scritto delle tristi condizioni dei 50mila soldati italiani detenuti in America. Famigerato il campo di prigionia di Hereford lei ci può dire qualcosa a riguardo?

«In America non erano così civili e soprattutto, cosa che non ammetterebbero mai, erano veramente razzisti. Noi italiani eravamo degos, i tedeschi erano i crauti, poi c’erano i nigger, gli afroamericani, e così via. Gli unici “degni” erano i Wasp , bianchi protestanti e anglosassoni, che in realtà erano quattro gatti poiché la maggior parte degli americani che combattevano nell’Us Army erano di origine tedesca. Credo che questo loro atteggiamento razzista si sia riverberato anche nel loro modo di trattare i prigionieri di guerra».

Se la guerra in qualche modo rende inevitabili certi orrori anche da parte di chi si ritiene tra i buoni, nella fattispecie gli Alleati, tutto diventa meno giustificabile quando è l’odio ideologico a creare campi. Ad esempio i Gulag sovietici, ereditati dal regime zarista, che però li utilizzava come campi di detenzione, mentre i comunisti li trasformarono in campi di sterminio.

«Il termine che loro usavano era “eliminazione”, come i tedeschi usavano il termine “trasferimento”. C’è sempre questo linguaggio burocratico che tende a mascherare la realtà. E’ vero, al tempo dello zar, soprattutto dopo l’assassinio di Alessandro II il regime di polizia si è parecchio inasprito e furono creati grandi campi di detenzione in cui però i prigionieri potevano coltivare la terra e spostarsi. Ben diversa la situazione nell’arcipelago Gulag, inizialmente nato con finalità repressive ma presto diventato un inghiottitoio in cui spariva la dissidenza. In età staliniana, ben prima delle purghe del 1936, soprattutto nell’estremo nordest in cui non era possibile nessun controllo, i detenuti sparivano, mentre prima vi erano i campi di lavoro in cui magari si moriva ugualmente ma per la fatica e in Siberia per il freddo estremo. Il regime staliniano ha talmente tanti punti di contatto col nazionalsocialismo che veramente si fa fatica a pensare a due entità rivelatesi mortalmente nemiche. Anche dal punto di vista detentivo non c’è differenza, se non nella maggior capacità organizzativa dei tedeschi»

Ma campi simili ai Gulag sorsero ovunque nell’Europa comunista. Particolarmente terribili quelli in Romania e nella Jugoslavia di Tito…

«Io credo che nel momento in cui i regimi si sentivano in qualche modo minacciati abbiano inasprito enormemente il loro regime detentivo. L’Isola calva, in croato Goli Otok, nasce nel periodo in cui Tito dopo la rottura con l’Urss si sentiva isolato e minacciato, fintanto non è arrivato quel gran pacifista di John Fitzgerald Kennedy che con Tito ha fatto affari d’oro. Goli Otok ha poi una storia particolare, perché ci sono finiti gli operai di Monfalcone che erano andati in Yugoslavia credendo di contribuire all’edificazione della grande patria socialista ma essendo filosovietici sono stati sbattuti lì dentro. Tito, che voleva dare all’estero l’immagine di un comunismo paternalista e tutto sommato meno comunista, in realtà era una autentica carogna ma noi abboccavamo. L’Italia a Tito ha dato il cavalierato».

Invenzione tutta cinese invece i laogai cinesi, ancora oggi in piena attività, dove si pratica largamente il lavoro coatto – il che spiega anche come mai i prodotti cinesi costano così poco – e l’espianto di organi umani.

«Il laogai nasce da una suggestione tipica della Cina di Mao Zedong e della Rivoluzione culturale. Anche qui il linguaggio inganna: sono campi di rieducazione ma che vuol dire rieducare? Vuol dire: tu non hai capito, perché sei stupido, che io sono il bene e te lo spiego, a bastonate sui piedi, torturandoti e fucilandoti, mettendo in galera i tuoi parenti. Il laogai, nell’enorme continente cinese, è un altro inghiottitoio, dove si sparisce e anche se non ha le caratteristiche climatiche del gulag siberiano è la stessa cosa. Noi oggi, che facciamo affari con la Cina e la guardiamo come un modello positivo di trasformazione del comunismo in qualcosa che non è più una dittatura, facciamo finta di non saperlo e nessuno chiede ragione a Pechino delle decine di milioni di persone scomparse. In Cina poi esiste ancora una pena di morte che si effettua sparando un colpo alla nuca e facendo pagare il costo del proiettile alla famiglia del condannato. Anche questa cosa passa sotto silenzio mentre se negli Stati Uniti, sebbene da questo punto di vista non siano un modello, si fa una esecuzione capitale apriti cielo. Ma lo stesso velo si stende anche sulle esecuzioni che avvengono in altri paesi, come Iran; perché? Siccome sono partner commerciali strategici bisogna tenerseli buoni».

Professore, come spiegare questo disprezzo per la vita e la dignità umana?  Per i nazisti e i comunisti c’è in gioco l’ideologia ma anche i buoni e democratici anglosassoni non sono stati da meno…

«Se possiamo trarre una lezione da questa chiacchierata sui campi di concentramento è che l’umo è ancora quello della pietra e della fionda. Inoltre il prigioniero inerme, che prima era minaccioso perché era armato, in qualche modo suscita la seguente reazione inconscia: mi volevi ammazzare? Adesso ti faccio vedere io. Questa componente è presente in tutti gli eserciti e fortunatamente è limitata dalle convenzioni interazionali. Dall’altra parte c’è il fatto che gli inglesi sono razzisti, nonostante i loro proclami e che il sindaco di Londra abbia origini pakistane. L’inglese guarda agli altri in generale con un misto di disprezzo e sufficienza e la guerra è un acceleratore per questo genere di cose. Perché l’uomo si comporta così con altri uomini? Non credo la risposta la possa dare uno storico ma ad occhio penso che nel caso della detenzione si sviluppi una sorta di istinto sadico sul prigioniero, in quanto prigioniero; così come la donna prigioniera è un oggetto da predare e stuprare. I sentimenti peggiori sembrano venir fuori qui».

(fine)

Qui l’intervista integrale

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