Family Act? C’è poco da festeggiare…

Il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 11 giugno un progetto di legge delega destinato a introdurre una serie di misure di sostegno alle “famiglie”, considerando tali anche quelle non legate dal matrimonio. Il pacchetto, ribattezzato con il nome di “Family Act”,istituisce, come misura principale, l’assegno universale (e unico) per i figli.

Si tratta di un assegno con le seguenti caratteristiche:

– è attribuito a tutti i “nuclei familiari”, sposati o meno, od a quelli con un genitore solo, con figli a carico;

– ha un importo minimo per tutti i nuclei familiari con uno o più figlie o figli, cui viene aggiunta una quota ulteriore e variabile determinata per scaglioni dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);



– viene versato mensilmente o mediante una somma di denaro o mediante il riconoscimento di un credito fiscale;

– è attribuito per ciascun figlio, fino ai diciotto anni di età;

– in caso di figlio successivo al secondo, l’importo dell’assegno universale è maggiorato del venti per cento;

– è riconosciuto a decorrere dal settimo mese di gravidanza;

– non concorre a formare il reddito complessivo fiscalmente tassabile;

– non rileva per il calcolo del reddito ai fini del riconoscimento dei vari servizi sociali (welfare);

– è incrementato per ciascun figlio con disabilità.

Si tratta, come si vede, di criteri generici, che poi dovrebbero trovare applicazione pratica nel decreto legislativo del governo, successivo all’approvazione da parte del Parlamento. Il che vuol dire che, al di là della grande promozione mediatica, questo provvedimento non ha, ed è destinato a non avere a lungo, alcun effetto concreto in favore delle famiglie o, in ogni caso, dei genitori single.In particolare, per quanto riguarda l’istituzione dell’assegno universale, il Governo Conte entro il 30 novembre 2020 dovrebbe emettere il decreto legislativo (noto anche come decreto delegato) che, se tutto va bene, permetterebbe di erogare gli assegni nel 2021. Ma, nel frattempo, l’esecutivo giallo-fucsia è probabilmente destinato ad evaporare in relazione all’appuntamento elettorale regionale del 20-21 settembre, lasciando quindi “mani libere” all’esecutivo che verrà (nel senso che quest’ultimo non sarà obbligato a seguire l’iter e quindi a rendere effettivo il Family Act). Ricordiamo che, già nell’aprile 2000, a fronte di una sconfitta relativa di 8 a 7, il governo di centro-sinistra presieduto da Massimo D’Alema fu giustamente indotto a dimettersi. Fra tre mesi saranno sette le Regioni chiamate al voto e, tenendo conto che solo per fissarne la data, il 18 giugno scorso, ci è mancato poco che si innescasse una crisi di governo (Conte-Zingaretti si sono infatti salvati solo grazie a tre voti), secondo una ragionevole previsione politico-elettorale, allo stato dell’attuale situazione, il risultato dovrebbe essere per lo meno 5 a 2. Ovvero Campania e Toscana al centrosinistra e Liguria, Veneto, Puglia, Marche e Valle D’Aosta al centrodestra.



Ricordiamo solo per giustificare due dei casi attribuiti al centrosinistra che, in Valle D’Aosta il governatore uscente, Antonio Fosson, insediatosi nel 2018 dopo aver sfiduciato l’allora presidente leghista Nicoletta Spelgatti, si è dovuto ingloriosamente dimettere poco tempo fa poiché coinvolto nell’inchiesta-Egomnia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella regione e, in Puglia, oltre alle ultime rilevazioni Swg che registrano il vento a favore dei partiti del centrodestra, c’è d’aggiungere che Italia Viva di Renzi non ha nessuna intenzione di appoggiare l’attuale presidente piddino Michele Emiliano.

GIUSEPPE BRIENZA

 

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