Il Vangelo fa parte del paesaggio?

Rino Cammilleri, siciliano di Cianciana, è un giornalista e scrittore cattolico, soggettista per fumetti e cantautore, noto per il suo anti-conformismo e l’acutezza dei suoi giudizi, sempre documentatissimi.È appena uscito, per i tipi della casa editrice Fede & Cultura, il quarto volume della serie Il Kattolico, una rubrica che il Nostro pubblica ogni mese sulla rivista di apologetica “Il Timone”. Il volume, intitolato Il Vangelo fa parte del Paesaggio?(Verona 2017, pp. 225, € 19), segue le prime tre raccolte pubblicate, rispettivamente, per le editrici Piemme nel 2001, Sugarco nel 2005 e Gilgamesh nel 2011. Anche quest’ultima è una collezione di saggi disparati che, perciò, può essere utilmente anche letta a caso e, sui temi storici contemporanei, scelgo uno dei tanti capitoli di “contro-informazione storica” ricompresi nel Vangelo fa parte del Paesaggio?, dedicato al sacrificio compiuto in Italia dall’“Armata polacca”, comandata dal generale Władysław Anders (1892-1970), durante la seconda guerra mondiale.

Cammilleri intitola significativamente il saggio Quei Polacchi che morirono perl’Italia (pp. 166-170), riparando in parte alla macroscopica mancanza di riconoscenza che la Repubblica Italiana, una volta “liberata”, ha perpetrato nei suoi confronti. I vari Governi del dopoguerra, infatti, impedirono al generale e politico polacco, di incontrare sia il presidente del Consiglio sia il presidente della Repubblica, consentendogli solo una visita, in forma strettamente privata, alla tomba del Milite Ignoto (a dire il vero anche in Inghilterra i polacchi non furono invitati alla sfilata della Vittoria). Perché fu riservato questo disonorevole trattamento al comandante del II Corpo d’Armata polacco? Semplice, riporta Cammilleri, per i sentimenti anticomunisti e cattolici dei combattenti polacchi in Italia!I governi espressione del CLN che impedirono ogni tipo di onore di Stato ad Anders, erano gli eredi (o succubi) di quei partigiani comunisti italiani che continuamente provocavano, prima della fine del conflitto, i soldati dell’Armata polacca sventolando sotto i loro occhi bandiere rosse con la falce e il martello.

Il generale Wladyslaw Anders aveva formato un corpo d’armata di polacchi in esilio, la cui patria era stata spartita da Hitler e Stalin con il Patto Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939), ricordato dai rispettivi nomi dei Ministri degli Esteri sovietico e della Germania nazional-socialista.

Poiché l’Urss era alleata con gli Anglo-americani, ai polacchi inquadrati tra questi ultimi non rimaneva che combattere contro i tedeschi, distinguendosi soprattutto sul fronte di Cassino. A tal proposito, Cammilleri ricorda opportunamente come «la fissazione di voler radere al suolo l’abbazia di Montecassino fu tutta del generale neozelandese Bernard Freyberg, arciconvinto che l’antichissimo monastero pullulasse di tedeschi. L’americano Clark era dubbioso, ma finì con l’acconsentire. Fu “un tragico errore”, come lui stesso ammise nelle sue memorie, che costò la vita alle centinaia di civili (oltre quattrocento, compresi donne e bambini) che avevano cercato rifugio tra quelle mura millenarie» (p. 166).

Qualcuno ancora oggi si chiede perché il colle dell’abbazia fondata nel 529 da San Benedetto da Norcia sul luogo di un antico tempio dedicato al dio pagano Apollo, non fu semplicemente “aggirato”. Cammilleri prova a rispondere così: «il generale tedesco Frido von Senger und Etterlin, praticamente la massima autorità militare del settore, era un fervente cattolico e addirittura un terziario benedettino. Aveva fatto trasferire in Vaticano su camion tutte le opere d’arte dell’abbazia e l’intera sua preziosissima biblioteca, poi aveva fatto divieto alle sue truppe di mettere piede tra quelle sacre mura. Proprio per preservare queste ultime dalla guerra, dal momento che gli Alleati erano in avvicinamento. Questi, d’altra parte, non erano ignari di tali movimenti ma subodoravano un trucco. Dopo le comprensibili titubanze, la “prova” definitiva che i tedeschi nell’abbazia c’erano davvero la diede un’intercettazione radio: due soldati germanici, di cui uno chiedeva “Wo ist der Abt? Ist er noch im Kloster?” e l’altro rispondeva “Ja!”. Fu tradotto così: “Dov’è il battaglione? Dentro al monastero?”. Risposta: “Sì!”. Solo che “battaglione” (Abteilung, da cui il diminutivo Abt) in tedesco è femminile, dunque die Abt e non der Abt – maschile- come effettivamente il soldato disse. Infatti si riferiva all’abate (der Abt) e chiedeva se fosse ancora nel monastero. Così, per un errore grammaticale compiuto da un ufficiale dell’Intelligence inglese, sull’abbazia si abbatterono cinque ondate di bombardieri, 230 in tutto, che riversarono 450 tonnellate di bombe ad alto potenziale» (p. 167).

Terminata la battaglia di Montecassino, che si scatenò subito dopo la distruzione dell’abbazia, gli Alleati ripresero l’avanzata e, proprio i soldati polacchi, furono i primi a entrare a Bologna che, da parte sua, si mostrò riconoscente verso il generale Anders, al quale assegnò la cittadinanza onoraria con una solenne cerimonia che si tenne il 6 ottobre 1945. A causa delle provocazioni partigiane fu giusto per un pelo che nella città felsinea si evitò un drammatico scontro armato della II Armata con le formazioni partigiane comuniste. Ma, non appena terminate le ostilità coi tedeschi, i 110 mila polacchi del corpo d’armata in Italia furono sparpagliati per tutta la penisola e fu allora che cominciarono gli scontri con i comunisti, con non pochi morti e feriti. Ecco spiegata la “damnatio memoriae” della storiografia liberal-comunista egemone nel dopoguerra nel nostro Paese nei confronti del generale Anders. Il Partito comunista italiano, ricorda Cammilleri, fece appunto «tappezzare i muri delle città italiane di manifesti su cui stava scritto “Polacchi fascisti, tornate a casa!”. Le cose montarono a tal punto che il generale Anders, all’ora del referendum monarchia-repubblica del 2 giugno 1946, offrì al re Umberto II la sua disponibilità a farla finita una volta per tutte con i comunisti in Italia. Il “re di maggio”, che non aveva mai brillato per statura politica, declinò e la storia seguì il corso che conosciamo» (p. 168).

Si evitò forse al Paese una guerra civile come quella allora in corso in Grecia, ma lo si condannò, per sempre, alla presenza del cosiddetto «Fattore K» che ne ha condizionato, e ancora condiziona, l’esistenza. Ne approfittò l’astuto Togliatti, che in qualità di ministro della giustizia riempì i ranghi della polizia di ex partigiani rossi rimasti disoccupati. E non mancarono gli scontri tra soldati polacchi e poliziotti. Dopo il referendum che vide la vittoria risicata della repubblica, a Napoli i monarchici manifestarono davanti alla sede del partito comunista protestando contro i presunti brogli (il famoso milione di voti “fantasma”). La polizia aprì il fuoco e nove manifestanti rimasero sul terreno.

Altra questione negata dalla storiografia dei vincitori nel secondo dopoguerra, e che Cammilleri pone in questo capitolo sull’Armata di Anders, riguarda il massacro che, nel 1940, l’Armata rossa operò della foresta di Katyń di oltre 15.000 ufficiali polacchi, gettati barbaramente in fosse comuni dopo il “classico” (per gli eserciti sovietici) colpo alla nuca. «I polacchi sapevano di Katyn e dei 15 mila loro ufficiali ivi sepolti?», si chiede Cammilleri. E risponde come assodato ormai dalla storiografia post-comunista: «Certo, come tutti. Ma sapevano pure che i nazisti, per decapitare le classi dirigenti, usavano i lager: il colpo alla nuca e la fossa comune erano una firma dell’Nkvd sovietica» (p. 169).

I comunisti sovietici e quelli italiani, insomma, non hanno mai sopportato l’armata polacca che, anche per questo motivo, gli Alleati hanno acconsentito a sciogliere. Secondo Luciano Garibaldi, saggista che opportunamente Cammilleri prende a riferimento bibliografico in questo e altri capitoli de Il Vangelo fa parte del Paesaggio?, gli inglesi avevano qualche scheletro nell’armadio, vale a dire le trattative segrete tra il premier britannico Churchill e Benito Mussolini. Quest’ultimo, scrive Cammilleri, «implorato dal primo di convincere Hitler a sospendere la guerra sul fronte occidentale per concentrarla su quello orientale, non riuscì. Il Duce che in fuga portava con sé questi documenti fu ucciso dai partigiani comunisti, i quali si erano accollati il lavoro sporco al posto dei britannici. I documenti sparirono e pure il famoso “oro di Dongo”, in gran parte razziato agli ebrei italiani deportati nei lager nazisti. La ricostruzione è questa: i documenti imbarazzanti andarono agli inglesi e l’oro al partito comunista, come da taciti patti. Perciò, quando poi quest’ultimo chiese la liquidazione dell’armata polacca, gli inglesi non poterono dire di no» (p. 169).

I seimila polacchi caduti in Italia sono sepolti in quattro cimiteri, uno dei quali a Montecassino. In questo ha voluto essere sepolto anche il generale Wladyslaw Anders che, chiese e ottenne, di far scrivere sulla sua tomba di tutti i suoi uomini questa frase straordinaria: «Hanno dato l’anima a Dio, il cuore alla Polonia, il corpo alla terra italiana».

Come il Vangelo, ripetuto ogni domenica da duemila anni e divenuto un’abitudine a cui non si fa quasi più caso, anche storie come queste sono ormai “metabolizzate” e assorbite quasi con indifferenza, a fronte delle migliaia di messaggi e input con i quali siamo bombardati dai media. Leggendo libri come quest’ultimo di Rino Cammilleri possiamo forse riconquistare la capacità di provare meraviglia e stupore di fronte alla verità, anche quella storica, ed all’eroismo di tanti uomini che hanno dato la vita per un ideale. Questo volume si segnala anche per affrontare con linguaggio divulgativo e convincente temi delicati di apologetica cattolica classica come ad esempio quello dell’esistenza storica e la nascita di Gesù Cristo, o la leggenda nera su Papa Borgia (pp. 45-48) o, infine, i pregiudizi sui “cristiani persecutori” durante l’Impero Romano (pp. 157-160). In tutto serve a documentarsi per scoprire quanto è diversa la storia della Chiesa da quella che ci si tramanda e, ritornando ai temi storici, quanto la vita dell’uomo è bella e preziosa quando è donata, in particolare in coerenza con la fede cristiana.

GIUSEPPE BRIENZA

In Corriere del Sud

n. 3, anno XXVI/17, p. 3

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