IN CERTE TEDIOSE OMELIE DOMENICALI, SPECIALMENTE SOTTO NATALE, TOCCA SORBIRSI INTERMINABILI TIRATE CONTRO IL CONSUMISMO, BESTIA NERA DI CERTI “PRETI DELLA LIBERAZIONE”, PIÙ PROPENSI A DAR CREDITO ALLE UTOPIE SOCIALISTE CHE AL VANGELO.
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Di Pietro Licciardi
In certe tediose omelie domenicali, specialmente sotto Natale, tocca sorbirsi interminabili tirate contro il consumismo, bestia nera di certi “preti della liberazione”, più propensi a dar credito alle utopie socialiste che al Vangelo.
Secondo costoro è colpa della sovrabbondanza di beni materiali e delle nostre frenesie da acquisti se le persone hanno perso la fede e hanno abbandonato la Chiesa.
Da qui l’altra stupidaggine della “decrescita felice”, partorita dalla sinistra post-comunista e fatta propria da certi teologi.
Sorvoliamo sul fatto che ormai sono almeno più di dieci anni che tutti noi stiamo decrescendo – disoccupazione in aumento, consumi in calo, industria sempre più in affanno, Pil in caduta libera – e questo non sembra averci affatto reso più felici, al contrario… e pensiamo a quando i mulini erano bianchi, la parola consumismo non era ancora entrata nel vocabolario e i due terzi della popolazione italiana viveva in campagna. Erano i tempi in cui si moriva a cinquant’anni di malaria o pellagra e su cinque figli ne sopravvivevamo due o tre, si doveva lavorare dall’alba al tramonto per portare un po’ di polenta poco o niente condita in tavola mentre nelle fabbriche non c’era la settimana corta e i turni erano di dieci ore.
Poi arrivarono il boom economico e il benessere.
Purtroppo con il migliorare delle condizioni economiche arrivò anche la cosiddetta secolarizzazione, ma ciò avvenne in una Italia in cui l’ideologia socialista e comunista – materialista e atea – cominciava a tracimare nella società grazie ad un Pci che sfruttando abilmente il credito conquistato col mito resistenziale – e il crescente potere dell’Urss – aveva cominciato a non essere più politicamente insignificante.
Soprattutto il benessere avanzò di pari passo con l’ultima fase dell’avanzata modernista – la sintesi dei tutte le eresie secondo san Pio X – nella Chiesa, che si mostrò tutta la sua nefasta influenza durante e dopo il Concilio Vaticano II.
Il benessere materiale e il consumismo sono un pericolo per l’anima?
Probabilmente solo per quelle anime che sono già morte e che per dare senso alla propria esistenza hanno bisogno di riempirsi con qualcos’altro. Il mondo è pieno di devoti e bravi cattolici che cambiano l’auto ogni cinque anni, acquistano l’ultimo modello di smart phone o di Pc e continuano ad avere una sana vita spirituale, non lasciando che il “materialismo” diventi il loro unico orizzonte.
I guai iniziano semmai quando l’anima si indebolisce, perché le ragioni dello spirito e della fede vengono meno, non essendo più sostenute e nutrite dalla ragione e una sana dottrina. E ciò è quanto avvenuto da quando una certa speculazione filosofica è diventata teologia per irrompere nei seminari e attraverso i sacerdoti, nel frattempo diventati vescovi e poi cardinali, contaminare il popolo di Dio, che si è trovato con difese immunitarie sempre più deboli a contrastare i visus ideologici del nostro tempo.
Il consumismo e il benessere materiale non sono dunque che l’alibi di questa teologia per mascherare il proprio tradimento e clamoroso fallimento. Il modernismo doveva portare la Chiesa ad una nuova primavera, conquistando il cuore e la mente dell’uomo contemporaneo attraverso il dialogo, il rifiuto del dogma, il compromesso e invece ha portato il deserto vuotando conventi, seminari e chiese.
Purtroppo, come ogni ideologia, anche certe parrocchie moderniste sono ostili alla realtà: se i fatti contraddicono il costrutto ideologico tanto peggio per loro.
E dunque avanti così, chiudendo ostinatamente gli occhi di fronte al fatto che là dove la tradizione resiste le vocazioni aumentano e la frequenza ai sacramenti tiene.
Tutto questo alla faccia del consumismo, alibi perfetto di chi ha perso il lume della fede e della ragione.