Quello di Alberto Matano (e compagno) non è un matrimonio…

di Dalila di Dio

REFERENDUM? ELEZIONI AMMINISTRATIVE? SALARIO MINIMO? MACCHÈ! SPOPOLA IL GOSSIP GAY…

La settimana appena trascorsa è stata la celebrazione compulsiva e grottesca del matrimonio dell’anno (così lo ha definito Il Fatto Quotidiano): “Alberto Matano sposa il compagno”, hanno titolato ininterrottamente per giorni i maggiori quotidiani, infestando il web con i più piccoli risvolti della cerimonia – dal menù, ai fiori, alla suite con orto (sì, con orto!) – e della relazione tra i due – dal primo incontro al coming out – fino alle paturnie di Matano nei giorni che hanno preceduto la cerimonia. 

È davvero un mondo strano quello in cui viviamo: un mondo in cui il matrimonio dell’anno non è affatto un matrimonio.

Quello tra Matano e Riccardo Mannino – avvocato Cassazionista, ripetono, quasi a voler dare maggiore autorevolezza al personaggio, tutte le maggiori testate – infatti, non è un matrimonio ma una unione civile. 

Manca, del matrimonio, l’elemento essenziale: quella mater che è radice della parola stessa. 

Eppure, il mainstream non si è fatto scappare l’occasione per dare avvio ad una delle operazioni mistificatorie più brillanti degli ultimi mesi: l’unione civile tra Matano e Mannino si è presto trasformata, con il placet e la collaborazione dei diretti interessati, in un manifesto sulla bellezza del matrimonio omosessuale, in una celebrazione dell’unica forma di amore che pare piacere alla gente che piace.

Sì, perché se da un lato l’intero carrozzone della propaganda è in brodo di giuggiole per “chef stellato, menù al buio e camera da letto con orto e piscina” e per i due che “convoleranno a nozze sabato 11 giugno, nel giorno del Roma Pride” – così La Repubblica, venerdì scorso, in uno dei numerosi articoli dedicati all’evento – d’altro canto continua senza sosta la campagna strisciante (ma neanche troppo) contro la stabilità della coppia eterosessuale.

Proprio La Repubblica, nei giorni scorsi, ha pubblicato una serie di articoli che andavano dal celebrare il bello di “essere egoisti per vivere meglio” e una interessantissima inchiesta sulle meraviglie dello “swinging”: coppie che frequentano club privè per scambiare i partner con altre coppie.

Il pezzo in questione, riguardava, caso strano, “una normale coppia che si è sposata, ha messo su una bella casa, ha allevato due figli”: insomma, il prototipo di quella famiglia che dà tanto fastidio ai sacerdoti del #loveislove e che deve essere dissacrata in ogni modo possibile.

Ovviamente, questi sono solo ultimi esempi di un continuo martellamento sulle storture della coppia eterosessuale, dal tradimento, alla prevaricazione all’ipocrisia di una unione – quella tra uomo e donna – che è ormai superata, fuori moda.

D’altronde, non è forse vero che tutti i padri di famiglia sono dei debosciati che maltrattano la moglie, trascurano i figli e sfogano fuori casa i loro istinti omosessuali repressi? 

E possiamo dubitare del fatto che la maggior parte delle coppie – eterosessuali, solo quelle eterosessuali -stiano insieme per ipocrisia, per salvare le apparenze o per opportunismo, in assenza di amore e attrazione sessuale?

La battaglia contro la famiglia e, in particolare, contro la figura del padre, è tutta in questa narrazione, ormai divenuta dominante: la famiglia – quella composta da madre, padre e figli – è costantemente dipinta come luogo di sopraffazione, di violenza, di mortificazione dei soggetti deboli, di rapporti ipocriti e di convenienza.

L’unico amore vero, quello che merita settimane di articoli celebrativi e interviste adoranti, è quello tra due uomini – o, se del caso, due donne (si veda l’eco mediatica che scatenò l’unione civile tra Eva Grimaldi e l’attivista LGBTQ Imma Battaglia) – perché scevro da tutte le brutture della coppia eterosessuale, così banale, bigotta, superata.

L’idea che si tenta in ogni modo di propagandare è che mentre il matrimonio, quello tra eterosessuali, è il regno del disagio, nelle coppie omosessuali – in quelle 1539 (sì, solo 1539) che si sono unite civilmente nel 2020, per esempio – la vita scorra felice senza problemi, intoppi, abusi, maltrattamenti o separazioni burrascose.

Beh, per quanto i progressisti si mobilitino per promuovere questa arcobalenata versione della realtà, i dati ci dicono che non è proprio così: come riporta uno studio condotto da Richard Carroll e Colleen Stiles-Shield della Feinberg School of Medicine, il 22% degli uomini gay ha sperimentato abusi fisici all’interno della coppia, mentre per le lesbiche il dato oscilla fra il 22 e 46%. All’interno delle relazioni intime dello stesso sesso, il 52% è stata vittima di manipolazione sessuale e un terzo è stato abusato psicologicamente o emotivamente.

Insomma, l’attuale stato della ricerca evidenzia un’incidenza della violenza tra le persone omosessuali da globalmente comparabile a maggiore rispetto a quella tra le persone eterosessuali, mentre le persone bisessuali (soprattutto donne) sono nettamente più spesso vittima di violenza domestica (Barrett & St. Pierre 2013; Stiles-Shields & Carroll 2014; Rollè et al. 2018). A queste stesse conclusioni giunge anche la National Intimate Partner and Sexual Violence Survey (NISVS, Walters et al. 2013) condotta negli Stati Uniti.

Ricapitolando, se la scorsa settimana la Corte di Fairfax, Virginia, pronunciandosi sulla causa Depp contro Heard, ci ha svelato che anche le donne mentono, oggi il matrimonio non matrimonio dell’anno tra Alberto Matano e il cassazionista Mannino è l’occasione per chiarire che anche gli LGBTQ si tirano addosso i piatti – e non solo – come e più di quelle banalissime coppie di eterosessuali, cattobigotti che, magari, hanno pure l’ardire di generare i figli senza provette e uteri in affitto.

Viva gli sposi, cassazionisti e non!

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