Il rock e i suoi derivati incitano alla violenza e al vizio?

di Pietro Licciardi

COSA ASCOLTANO I NOSTRI GIOVANI? C’E’ FORSE UN NESSO TRA LA VIOLENZA GIOVANILE E CERTA “MUSICA”?

In questa società sempre più violenta colpisce e sconcerta l’atteggiamento dei giovani, mai come adesso facili alla rissa, all’aggressione, spesso con esiti tragici. Ultimo in ordine di tempo l’episodio del giovane ventiduenne aggredito a Crotone e ridotto in fin di vita da un coetaneo a suon di cazzotti e calci mentre alcune ragazze – secondo la ricostruzione della polizia – incitavano l’aggressore a colpire.

I benpensanti per prima cosa in questi casi puntano il dito contro la famiglia, oggi non più capace di educare – e certamente in questo c’è qualcosa di vero -, ma quasi nessuno si interroga, ad esempio, sui messaggi con i quali una società ipocrita fino alla nausea, capace di commuoversi per un cane abbandonato, ma che non batte ciglio per l’omicidio di un bambino nel grembo della madre, bombarda i suoi giovani fin dalla più tenera età.

Uno dei veicoli di diseducazione è oggi senz’altro la musica, ormai diventata grazie a rapper e sciamannati vari alla Achille Lauro, una sequenza di messaggi ossessivi e quasi subliminali sparati a tutto volume che hanno l’obiettivo di creare dipendenze: dalle droghe, dal sesso e chi più ne ha più ne metta. Tra i giovani spopola il Trap in cui di note musicali ve ne sono ben poche e dove domina il rumore. Come nei Rave, passati da ritrovo di disadattati e disperati a forma di sballo per tutti. In discoteca e quasi ovunque si fa musica “giovane” i decibel annullano il pensiero, la parola e la persona mentre si sparano inni allo spinello, al sesso, all’alcool, consumato fino al coma etilico anche da meno che adolescenti, e alla violenza.

L’audiologia insegna che oltre la soglia dei 90 decibel il rumore diventa pericoloso, a 120 decibel – valore “normale” per una discoteca – significa che ci si trova oltre qualsiasi livello di sicurezza; come essere sul ponte di una portaerei mentre decollano gli aerei, senza cuffia assorbente. Enormi woofer inoltre diffondono suoni a bassa frequenza che provocano pressioni quasi insostenibili al diaframma e all’aumentare del volume sembra che qualcosa all’interno del corpo comincia a vibrare e talvolta sopravviene un senso di nausea. Sotto il livello dei 50 hertz il suono non si “ascolta” più con le orecchie, ma con il diaframma, le ossa, le cartilagini, lo stomaco. Tutto l’organismo è coinvolto. Le discoteche sono sature di basse frequenze. Del resto senza i “bassi” esasperati, il rock non sarebbe esistito.

Purtroppo non sono stati fatti studi per dimostrare che c’è un rapporto di causa ed effetto tra l’andare in discoteca e gli incidenti d’auto, i suicidi adolescenziali, l’uso di droga, la decadenza morale e tutto il negativo della vita dei giovani oggi. Ma non è da oggi che la musica ha un influsso pericoloso sui giovani. Chi si ricorda delle “stragi del sabato sera” degli anni Novanta? Giovani che hanno perso, e continuano a perdere la vita, in incidenti stradali causati dallo stordimento per ore trascorse nello sballo di discoteche inondate di rumore, alcool, droghe.

Il rock e la musica “moderna” sono allora intrinsecamente cattivi? Per rispondere basta semplicemente vedere la fine che hanno fatto le star del rock, fin dalla sua comparsa nel panorama musicale. Elvis Presley, morto a 40 anni saturo di anfetamine e barbiturici; Bon Scott del gruppo Ac/Dc è morto impalato sulla sua chitarra dopo un concerto; Michael Jackson è morto intossicato da un potente anestetico, Kurt Cobain (1967-1994) dei Nirvana si è sparato un colpo di fucile, e la lista potrebbe continuare per un bel po’.

E se Satana avesse scelto il rock’n’roll e ciò che ne è derivato per corrompere la gioventù e propagandare il suo regno delle tenebre? Lo psichiatra, criminologo e pastore canadese Jean Paul Regimbal nel 1983 pubblicò il saggio Le rock’nroll (Viol de la conscience par les messages subliminaux) con i risultati d’una complessa ricerca condotta con una équipe di collaboratori sui segni, i suoni, le parole e i gesti del rock, da Presley al punk, nel quale dimostrava che in trent’anni il beat e il rock sono divenuti «la più potente rivoluzione del corpi, degli spiriti e dei cuori mai uscita dalle viscere dell’Inferno». Alcuni aspetti della ricerca meritano attenzione, come i messaggi subliminali inseriti nei dischi di alcuni artisti rock e quelli dei simboli satanici presenti nella grafica di molte copertine di Lp.

Per Regimbal non è casuale che sul piano del ritmi diversi artisti siano andati a pescare fra quelli del vudù dell’America Latina e di Haiti, proprio per l’effetto che quelle pulsazioni hanno nel provocare «un bisogno irreprimibile di liberarsi dalle inibizioni».

Ma più pericolosi sono i messaggi subliminali, genere di messaggi da tempo vietati al cinema, radio e tv, che consistono nella proposta d’un codice che non è avvertibile alla coscienza ma arriva a livello inconscio. Ad esempio ascoltando la frase dei Led Zeppelin «And the voices of those who stand looking» (E le voci di quelli che stanno in piedi aspettando), si distingue la battuta «I’ve got to Live for Satan» (Bisogna che io viva per Satana); e dietro il celebre successo dei «Queen» Another one bites the dust» (Un altro ancora morde la polvere) c’è la frase «Start to smoke marijuana (Datti alla marijuana)». Ancora, nei Led Zeppelin, suonato al contrario il verso «There is still time to change the road you are on» (E’ ora che tu prenda un’altra strada) diventa «My sweet Satan, no other made a path» (Mio dolce Satana nessun altro ha tracciato una strada).

Una volta era la Chiesa ad educare al bello, anche della musica, coinvolgendo i giovani e gli adulti col canto sacro e liturgico. Oggi, dove anche a scuola è scomparsa l’ora di “educazione musicale”, non c’è più alcun argine al dilagare della pessima “musica”. Forse è il caso di ritrovare il modo di dire ai giovani che nel mondo non c’è solo il rock e il rap.

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