Maria Pasquinelli e la ricerca di una soluzione italiana per le terre giuliano-dalmate

di Denis Zigante

IL 10 DI FEBBRAIO DEL 2024, PROSSIMA “GIORNATA DEL  RICORDO”, RICORDIAMO ANCHE MARIA PASQUINELLI

Quando la mattina del 10 febbraio 1947, davanti al Comando della guarnigione britannica di Pola, Maria  Pasquinelli sparò tre colpi di rivoltella alla schiena del brigadiere generale Robert de Winton, sapeva di uccidere, anche non considerando il concetto di assassinio, tre entità umane: il comandante de Winton, se  stessa e, probabilmente, la sua anima. 

Certo, aveva frequentato la scuola di mistica fascista in cui la carica valoriale veniva portata a livelli anche  mitici, i detrattori suoi e della sua idea lo ricordano ad ogni piè sospinto, ma l’insegnante Pasquinelli intinse il pennino del suo patriottismo non nell’astrattezza delle teorie ma nel concretissimo calamaio della Spalato post 1941 dove l’Italia si respirava attraverso i muri e dove gli avvenimenti successivi al “ribaltone”, durati solo una quindicina di giorni, evidenziarono sia la ferocia comunista che l’inconsistenza delle autorità militari italiane lasciate alla deriva dall’armistizio. 

Gli anni successivi, di guerra e di guerra civile, come fu definita da una parte, fino a Parigi 1947 furono per Maria Pasquinelli anni di appassionata ricerca di una soluzione italiana per le terre giuliano dalmate. Con  l’unico risultato di veder consolidato nei fatti il destino di quelle terre per volontà delle grandi nazioni  vincitrici e un po’, diciamo noi, anche a causa della paura degasperiana, più che italiana, nel chiedere  l’autodeterminazione dei popoli temendo il plebiscito altoatesino. 

Nulla si poté fare e qualcosa non si volle fare, mentre lei fece, con richieste, proposte, contatti e incontri sempre con disperata tenacia ciò che le fu possibile. 

La Pasquinelli maturò una coscienza piena e drammatica di questa situazione fino al gesto estremo di quella  mattina di febbraio ’47 in cui non si propose di punire qualcuno personalmente o condurre alla sollevazione  un popolo ma volle lasciare un segno nella storia, a futura memoria, di un’ingiustizia avvenuta in questo  spazio e in questo tempo. 

E fu la sola. 

A mio modo di vedere il suo gesto può essere annoverato nel martirologio dei contrari alle mire annessioniste  titine verso il nord est italiano come i partigiani osovani dell’eccidio di Porzus , ma di sicuro va collocata nel  Pantheon dell’italianità giuliano-dalmata insieme alle migliaia di infoibati perché italiani. 

La consapevolezza morale e umana di Maria Pasquinelli nei confronti della gravità del gesto assassino è testimoniata dal suo rifiuto di presentare domanda di grazia verso la condanna a morte. Mentre voglio testimoniare io, con una mia personale esperienza, l’amore di questa fiorentina verso le nostre terre, amore  che ha condotto la sua vita su strade di dolore inconcepibili da un normale quadro di vita vissuta. 

Nell’ultimo decennio del secolo scorso le associazioni del mondo degli esuli giuliano-dalmati erano assai  prese dalla questione dei rapporti con i “rimasti”, cioè coloro che non parteciparono all’Esodo e rimasero a  costituire un’esigua minoranza. Chi sosteneva, pochi invero, che bisognava avere ed implementare quei  rapporti e chi, come l’associazione di cui io ero il presidente, sosteneva di doversi occupare dei problemi degli Esuli e delle terre natie, senza compenetrare a questi la questione “rimasti” ritenendola estranea al nostro  sentire. 

Una sera, mentre ero a tavola con la famiglia, suonò il telefono fisso di casa e io risposi. <Buonasera, sono  Maria Pasquinelli, parlo con il signor Zigante?>. Confesso che mi venne un groppo alla gola che non sono riuscito a deglutire durante tutta la breve telefonata. In sostanza mi disse che capiva il mio atteggiamento di  paladino degli interessi morali, politici, culturali ed anche economici degli Esuli. Che anche lei si sentiva esule  e che ci era vicina ma che le doleva il cuore vedere assottigliarsi, soffrendo, quella piccola “fiammella di  italianità” in Istria e Dalmazia che erano i “rimasti”. Che non voleva neanche pensare all’eventualità di non  sentire più in quelle terre la lingua madre italiana e che, quindi, bisognava aiutarli in ogni modo a  sopravvivere. 

Capii che per quell’alto ideale lei, senza nulla dover dimostrare, sarebbe ancora stata disposta a estremi  sacrifici. 

Risposi cercando di non deludere una persona di ottantacinque anni ancora piena di fervore patriottico e,  esprimendo dei dubbi sul sentimento di italianità dei “rimasti”, promisi che avrei ripensato alle sue parole. 

Maria Pasquinelli è morta nel 2013, a cent’anni. E’ riuscita a vedere emanata la legge istitutiva della Giornata  del Ricordo e a parteciparvi, credo, in qualche modo, anche se il 10 febbraio per lei doveva essere un  momento di tenebre. Di lei è stato scritto un libro nel 2008. Stefano Zecchi scrisse un racconto biografia a lei  dedicato. Nel novembre di tre anni fa è stato dato alle stampe un altro libro su di lei e la sua attività nelle terre giuliano-dalmate. Di questa produzione editoriale è stato dato ampio spazio, di volta in volta, su Il Piccolo. Nell’ambito delle attività storico memorialistiche e nell’editoria periodica delle Associazioni istriane fiumane dalmate, la sua vicenda è stata, invece, argomento di discussione e riflessione in misura assai minore di quello  che ci si potrebbe immaginare. 

La ragione di detta ritrosia volta a nascondere un po’ i fatti violenti che ci vengono attribuiti, anche se avversi a soprusi subiti, va ricercata, forse, nella dimensione morale, etica e religiosa della nostra gente esule. Che,  essendo, appunto, brava gente preferisce non parlare di qualcosa, anche se intimamente sentito, per evitare  che il fatto, il gesto, l’idea eclatante possano essere presi a pretesto dagli avversari, interni ed esterni, per  parlarne male. Della nostra gente, della nostra terra, dei nostri ideali. 

Ora credo sia giunto il momento, non dimenticando l’incolpevole generale de Winton a cui va dedicato un  pensiero e una preghiera, per chi crede, di ricordare anche Maria Pasquinelli il 10 di febbraio, “Giornata del  Ricordo”. Quel giorno di oltre settant’anni fa che fu lo strazio della sua vita e della sua coscienza, diventato il  simbolo dell’ingiustizia subita da un popolo per il quale Maria Pasquinelli diede tutto. 

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