La neolingua dell’era di WhatsApp

di Pietro Licciardi

SEMPRE PIU’ GIOVANI NON SANNO PIU’ SCRIVERE E COMPRENDERE L’ITALIANO

Il settimanale Panorama del 28 Febbraio ha pubblicato un articolo a firma di Luca Sciortino che illustrava come è cambiato il linguaggio nell’era dei social e di WhatsApp. Un esempio? Eccolo: «Watsappami ASP bro, ok?!!! Dv and XOXO», che tradotto vorrebbe dire: «Mandami un messaggio con WhatsApp al più presto possibile, amico fraterno, d’accordo? Devo andare. Baci e abbracci». 

Un simile linguaggio cifrato, da spia della Cia o dell’ex Kgb, – battezzato e-italiano – risulta assolutamente incomprensibile a chiunque appartenga alla generazione appena precedente ma al di là della curiosità e nota di colore l’articolo si soffermava su come recenti indagini sui testi degli studenti destinati alla scuola, all’università e al lavoro rivelino carenze linguistiche imputabili anche alla diffusione dell’ e-italiano. Insomma, la distanza tra un testo scritto su carta in italiano corretto e uno trasmesso dal computer o dal cellulare, molto vicino al parlato informale, è aumentata a dismisura.

A questo si aggiunge il fatto che la scuola ormai non insegna più a scrivere. Ai dettati, ai riassunti e ai temi di una volta sono stati sostituiti i quiz a risposta multipla e crocette mentre l’insegnamento della grammatica, della sintassi e del corretto uso della punteggiatura in molte classi è un optional, e non da oggi. Il risultato è che anche recentemente il Programme for international student assessment (Pisa) ha segnalato che un ragazzo di 15 anni su cinque non sa leggere in maniera fluida un testo e uno su quattro non lo comprende.

Per inciso anche chi arriva alla laurea non è messo meglio. Parecchi dottori e dottorandi non sanno scrivere in corretto italiano o redigono testi in cui la punteggiatura è approssimativa o casuale rendendo difficoltosa la comprensione delle frasi e con un uso smodato di termini o neologismi tratti dall’inglese.

La questione è seria e non perché è in questione la purezza della lingua di Manzoni, che pure era già molto cambiata da quella di Dante e Petrarca. L’impoverimento del linguaggio infatti, come ha benissimo illustrato George Orwell nel suo insuperabile romanzo 1984, influenza il pensiero. Riducendo sintassi e vocabolario il Partito totalitario al potere mirava a rendere il linguaggio inadatto a esprimere la complessità di un pensiero articolato allo scopo di trasformare l’uomo in una sorta di scimmia zelante priva di capacità critica, incapace anche solo di concepire un dissenso e dunque prona a soddisfare gli interessi della casta dominante.

Purtroppo la distropia immaginata da Orwell si sta realizzando sotto i nostri occhi. Come è possibile già oggi, stando così le cose, comunicare e trasmettere ai giovani – e ormai non solo a loro – i messaggi positivi, le informazioni, un modo di ragionare e di pensare diverso da quelli imposti dal pensiero sempre più unico e dominante? 

Se aumentano le persone incapaci di concentrarsi su testi poco più lunghi di un post su Facebook o un sms o non comprendono quello che leggono come possiamo sperare, anche noi di InFormazione cattolica e tutte le altre testate che una volta erano chiamate “la buona stampa” di vincere la buona battaglia della informazione e della formazione, non soltanto cattolica ma civile e politica in una società che sta sempre più velocemente volgendo verso un feroce e definitivo totalitarismo?

Rivolgiamo un appello agli insegnanti e a chiunque ha ancora a cuore la l’istruzione e la cultura: tornate a far leggere ai ragazzi i libri stampati, insegnate loro la grammatica, la sintassi e la punteggiatura, riabituateli a scrivere. Solo così ne farete uomini e donne, liberi e non schiavi.

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