L’Immortalità e la morte

di Francesco Bellanti

GUNDAR E LA MORTE

Gundar è un uomo, professore e scrittore, che è venuto in possesso della formula dell’immortalità. Gli è stata donata da uno scienziato suo amico, in un villaggio della Sicilia centrale dove ha condotto gli ultimi esperimenti per realizzarla. Questo scienziato ufficialmente per anni è stato al servizio di una grande multinazionale che sperimentava nuovi farmaci contro l’invecchiamento. Tra i tanti personaggi misteriosi che si erano sottoposti agli esperimenti e che si presentano per carpirgli la formula, una notte va da Gundar la Morte con le sembianze di Lorena, la sua compagna, che in quel momento è andata via per scoprire il mistero della formula dell’immortalità e dell’organizzazione segreta che ha voluto gli esperimenti per realizzare la formula dell’immortalità.

– Gundar.
-…..
– Ehi, Gundar.
-…..
– Gundar, mi senti?
– Chi sei?
– Sono la Morte, Gundar.
Gundar guardò la Morte. Si alzò dal letto. Scese velocemente in cucina, tornò con una bottiglia di grappa e del ghiaccio in un bicchiere. Sedette su un divano davanti al letto, si versò un po’ di grappa, accese una sigaretta, cominciò a bere e a fumare. Guardò l’orologio: erano le due di notte.
– È bastato un po’ di profumo di donna, e ti sei svegliato, eh, Gundar? Se non mi fossi avvicinata…
– Non avrei mai creduto che la morte si presentasse agli uomini in questa veste – disse – Come una donna bellissima e nuda. Distesa sul mio letto.
– La Morte non è una cosa orrida e arcana, sono i vivi che l’hanno sempre immaginata brutta e terribile.
– No, tu non sei la morte. Tu sei Lorena. Sei tale e quale Lorena.
– Ma no, Gundar. Io vengo col volto di Lorena perché voglio essere bella, amorevole, rassicurante. Però sono la Morte, con la M maiuscola.
– Tu sei venuta come tutti gli altri per darmi un’altra allucinazione.
– No, Gundar: io sono veramente la Morte. Io vengo col volto di Lorena perché sei tu che mi vedi come qualcosa di dolce e di desiderabile, tu vedi in me la tua Lorena che ti ama.
– State venendo a rompermi i coglioni un po’ tutti, questa è la verità.
– Sì, lo so: c’è stato un bel movimento di gente intorno a te in questi giorni.
– Il mio fantasma. E l’angelo custode. Il Diavolo. Poi ho incontrato uno che diceva di essere l’uomo più grande della storia, infine uno che diceva di essere Dio. E un altro che sosteneva di essere un Immortale! Che affermava di venire da un pianeta lontano e sconosciuto, e di avere vissuto già quattromila anni di vita sulla Terra!
– Addirittura! E tu credi a queste cose, Gundar?
– Se tu sei la morte, potrei credere a tutto.
– Tu devi credere alla Morte, Gundar. Perché la Morte esiste.
– E i fantasmi invece no? E l’angelo custode, e il Diavolo e…
– No. Sono solo sciocche credenze. Di’ la verità: hai sospettato di qualcuno?
– Beh, in effetti, ho notato delle curiose somiglianze. E gliele ho anche dette a quei tizi. Però, i dubbi rimangono sempre.
– Che ti hanno detto, Gundar? Puoi dirmelo?
– Certamente. Mi hanno detto cose incredibili.
Gundar fece un breve relazione dei personaggi che aveva incontrato e dei discorsi che aveva fatto con loro. Dopo avere ascoltato attentamente, la Morte sorrise.
– Ascolta, Gundar – disse infine la Morte – Ti hanno detto un sacco di fesserie. Secondo me, quelli erano comuni mortali che volevano fregarti. Lo sai tu cosa. Solo io esisto: la Morte, il puro, incontaminato nulla.
– Sarà come tu dici, ma gli uomini in genere hanno paura della morte.
– Gli uomini hanno paura della Morte perché pensano ad essa come a un qualcosa di orrido e di misterioso dopo la vita. La Morte è anche quello che è prima della vita: tu hai paura di ciò che è prima della vita?
– In effetti, no.
– Allora, tu non devi avere paura della Morte, Gundar.
– Una parola! Certo che sarebbe bello non morire: che cosa potrei offrirti per non morire?
– Niente, Gundar. Mi hanno già offerto tesori e regni, imperi immensi, ma io ho sempre rifiutato: dovete morire tutti. È una questione di uguaglianza. Di democrazia.
– Se tu sei veramente la morte, dimmi quando morirò io.
– Allora hai veramente paura della Morte, eh?
– Beh, veramente ho paura di una morte improvvisa. Vorrei prima mettere le cose a posto.
– È una scusa. Mai si potranno mettere le cose a posto per sempre. Tu hai paura della Morte, confessalo.
– Te lo ripeto, io ho paura della morte inaspettata, repentina. Chissà perché, ho la sensazione che siano i poeti ad avere paura di una morte improvvisa. Giungere all’incontro con la morte felici, lo dice un poeta, come se si ritorn+asse alla sposa fedele che subentra all’amante traditrice, che per me è la vita. Perché la morte non tradisce mai. Chiedere alla morte, quando saremo sul punto di entrare in un tempo sconosciuto e senza memoria, di dire addio al mondo con un momento di raccoglimento. Morte, non mi ghermire/ ma da lontano annunciat/i e da amica mi prendi/ come l’estrema delle mie abitudini.
– Cardarelli. Poetico, sei troppo poetico questa sera. Ma non temere: non sono venuta qui per prenderti, ma per parlare.
– È che, quando uno non conosce le cose, le immagina in modo diverso. Si crea dei fantasmi, che so?, delle allucinazioni, fantasie, inganni. Insomma, lo sai, c’è tanta letteratura intorno alla morte. Per questo uno ha paura.
– Capisco. Come mi hai immaginata, eh, Gundar? Sono curiosa di saperlo. Come uno scheletro incappucciato con la roncola? Come una civetta, come un vampiro? Come il Demonio? Come una mummia, una Signora con falce? Come un giocatore di scacchi, uno scheletro che superbo cavalca uno spettrale destriero nero, col braccio alzato e gli occhi fiammeggianti, la Morte che con una mano brandisce la falce e con l’altra la clessidra? La Morte che sogghigna, annichilisce, raggela? Come un’ombra che passa con la spada, con l’odore acre del suo passaggio, con bara e crisantemi, come un vento gelido, un fumo, una vampata di fuoco, un sussurro, un ululato nella notte? Forse mi hai immaginata come una danza macabra, vestita da becchino, come un ghigno feroce, come lo scheletro d’argento di Trimalcione, come un cadavere in decomposizione in un sepolcro, con tre cavalieri e tre scheletri vivi e parlanti?
– !
– Oppure su un carro trionfale con la toga picta scarlatta trapuntata d’oro e lo scettro in mano, la corona d’alloro e magari un sorriso, con un servo alla mia destra che mi dice ricordati che sei un uomo? Mi immaginavi forse come un fantasma, una strega, un dragone, un mago, un cavaliere tenebroso con una svastica e una divisa nazista? Come la Bestia o come il falso profeta del tempo? Oppure mi immaginavi come un Dio terribile con la spada sguainata sul dolore innocente, col fuoco o col vento turbinoso? Come una tromba sorda, come un’ombra che spalanca i sepolcri e risuscita i morti dalle tombe? Con bilance e candelabri, con trombe che rimbombano su tutte le regioni del mondo?
– Basta, basta, ti prego. Mi fai più paura adesso di prima.
– Uhm, forse ho capito come mi immaginavi. Tu mi immaginavi come un corpo decomposto di donna, con veste lacera e lunghi capelli radi e contorti, una donna dai seni flaccidi che trascina una bellissima fanciulla nuda, oppure come uno scheletro che cavalcando prorompe impetuosamente nella storia e colpisce con le frecce e la falce l’umanità, tutti quelli che incontra sulla sua strada, uno scheletro con un archibugio, o con arco e faretra, mentre ai suoi piedi trafitti dai dardi mortali giacciono papi e imperatori, regnanti e capi di Stato. Non è così, Gundar?
– Sì, è così. Così la smetti di fare il pagliaccio. Non mi fai paura con questi discorsi da buffone. Queste sono le immagini della morte, quelle che ci sono state tramandate, quelle che ho appreso dalla storia, dalla cultura.
– Ora mi piaci, Gundar. Era questo che volevo. Noi eravamo come voi adesso siete, voi sarete come noi ora siamo! Questo detto non ti fa paura guardando me, eh Gundar? Di’ la verità: non hai mai visto la Morte così splendida. Te la vuoi scopare la Morte, Gundar? Vieni, vieni qui da me. Ecco, ti apro le cosce, guarda, guarda che fica incantevole, profumata, che ho, Gundar, odora di fragole rosse. Guarda la soffice, folta, nera peluria del mio pube, esplode di vita. È tua la mia fica. Guardala, guarda il mio sesso, è un cuore rosso, ha il fuoco, vibra, trema, arde di desiderio. Vieni, vieni dentro di me, dentro la mia fica, possiedimi, Gundar!
Gundar osservò la Morte desiderosa di essere posseduta. Rifletté sulle sue indecorose parole. Poi accese una sigaretta, si versò un po’ di grappa. Offrì una sigaretta e della grappa alla Morte, che rifiutò.
– Non devi bere, Gundar – disse la Morte – L’alcol fa male, e fa male pure il fumo, lo sai. Te lo dice la Morte, ed io sono una che le capisce queste cose.
Gundar osservò ancora per qualche minuto la Morte. Era veramente bella, sembrava Lorena incantevole con gli occhi verdi e i capelli neri. Sembrava Lorena in carne ed ossa, Lorena nuda, bellissima e sensuale, dalle forme perfette. Sembrava la Maya desnuda, sdraiata sul letto, e lui era seduto davanti a lei, illuminato solo dal suo sguardo. Per un momento, un solo momento, Gundar pensò che sarebbe stato bello fare l’amore anche con la Morte, entrare dentro il suo corpo, godere di lei. Forse perché sembrava Lorena. Se non che la Morte diceva di essere la Morte.
– Senti, visto che tu sei la morte, e rappresenti tutto ciò che è passato, che è morto, e sei così bella, posso farti due domande?
– Certamente, Gundar.
– Perché io ho sempre desiderato fare l’amore con tutte le donne del mio passato, amori ormai lontani e dimenticati?
– Non so. Forse è desiderio di recuperare e di possedere i sogni mai realizzati, l’amore mai ricevuto, possedere il tempo perduto. Il desiderio di volere tornare a possedere la tua vita, il tuo tempo. Forse questa tua inconscia pulsione di morte deriva dal rancore che hai verso una parte della tua vita che vuoi uccidere perché non l’hai vissuta come volevi, così, non potendo ucciderne una parte, vuoi ucciderla tutta. Forse, io non sono uno psicologo, Gundar. Qual è l’altra?
– Ci fu un tempo in cui mia madre mi proteggeva col suo seno caldo, quando nelle lunghe notti d’inverno fuori pioveva e tuonava, ed io avevo paura e sotto le coperte mi stringevo a lei. Era una donna di trent’anni bellissima e meravigliosa, mi baciava sulla fronte, mi accarezzava. Ecco, io ho sempre desiderato far l’amore con quella donna, in quel tempo, in quello spazio. Perché? Questo è male?
– Io non so se questo è un male. Forse no, non credo che questo sia male. Penso che possa essere valida la risposta precedente. Penso che sia il tuo passato che si è scisso da te e chiede le sue ragioni e si rivolta contro di te. Ma io non sono uno psicologo, io sono la Morte. Questa è roba da psicologia profonda…. Ma perché mi hai fatto queste domande? Che c’entro io con il sesso, con l’amore?
– Non so. È che io ho sempre interpretato questi desideri, questi sogni, come un desiderio di Morte.
La Morte guardò verso la finestra, sorrise.
– La Morte è una cosa seria, Gundar – disse – Io ho solo detto che essa non è obbrobriosa ma bella, perché è una cosa naturale come la vita.
Gundar guardò la Morte sorridente.
– Chi sei veramente tu? – le chiese infine.
– Io sono il tempo – disse la Morte – Io sono la voce potente che spegne tutto il clamore della storia, io sono la tenebrosa vastità del passato, io sono il verme che divora il frutto maturo, il rantolo affannoso del morire. Io sono la grande madre a cui tutto ritorna, io sono il nulla, il puro, incontaminato nulla.
– Quanta poesia!
– Non ti sbagli. Io sono sempre stata la poesia dell’universo. Io sono sempre il tempo del principio e della fine, della vita che nasce e sempre declina, del mondo che fugge ogni istante col vento e col fuoco, io sono l’esequie che in pompa passa al crepuscolo o alla sera e rapido va nel gorgo del finire. Io sono il tempo senza alleanza, il tempo dell’eterna perdita e della vanità, io sono lo spazio dove trovano pace l’angoscia e l’affanno, io sono la fornace che brucia tutti gli esseri viventi, sono il vuoto che non redime, l’inarrestabile sparire del tutto, l’inesorabile perdersi dei regni e dei mondi, la voragine che inghiotte la storia, il nulla, il supremo eterno sconfinato silenzio del nulla.
– Io, sinceramente, non riesco a capire il nulla di cui tu parli.
– Il nulla è il nulla. Il vuoto. Dietro di me, prima di me e dopo di me non c’è spazio né luogo alcuno. Dietro di me, dopo di me, è il nulla, io stessa sono il nulla. Come dice Seneca, io sono l’ultima meta del rapido spazio, velocis spatii meta novissima. Io sono la carne che si scioglie, lo spirito che si dilegua, la materia che si disgrega. Io non sono né il caos né l’ordine, sono il nulla. Io divoro la luce e le parvenze, i sogni e i pensieri, io divoro il tempo, le orbite vorticose delle costellazioni, io divoro lo spazio infinito.
– Insomma, sei un’istituzione, da sempre esistita.
– Sì. E aggiungo: io sono la più democratica delle istituzioni della storia. Sì, io sono la più democratica, la più giusta, la più egualitaria delle istituzioni. Niente potrà mai sfuggirmi, non la bellezza, non la giovinezza, non la ricchezza o la fama, non il prestigio o l’onore, tutti devono soccombere, perché morire è un destino inesorabile, comune a tutta l’umanità. Che cos’è il mondo, Gundar? Te l’ho già detto: il mondo è un’immensa fornace dove bruciano tutti gli esseri viventi. Ho inondato di cadaveri campagne e mari, paesi e continenti, da India, dal Cataio, Marrocco e Spagna. Ho inondato di cadaveri un intero pianeta. Hai forse dimenticato?

Ivi eran quei che fur detti felici, pontefici, regnanti, imperadori; or sono ignudi, miseri e mendici.
U’ sono or le ricchezze? u’ son gli onori e le gemme e gli scettri e le corone
e le mitre e i purpurei colori?
Miser chi speme in cosa mortal pone (ma chi non ve la pone?), e se si trova a la fine ingannato è ben ragione.
O ciechi, el tanto affaticar che giova? Tutti tornate a la gran madre antica, e ‘l vostro nome a pena si ritrova.

– Basta con queste citazioni, non ne posso più.
– Hai cominciato tu. Vedi come sono? Non, come dice il poeta Petrarca, come una donna involta in veste negra, ma come una donna di gioventute e di bellezze altera.
– Basta!
– Va bene. Se tu mi presterai ascolto.
– Prima però devo chiederti una cosa. Ho visto una volta un quadro – non ricordo adesso di chi – in cui il cielo è rosso, pieno di bagliori e di fumo, di incendi, di forche, un quadro pieno di cadaveri in decomposizione, dove eserciti di scheletri con armature avanzano contro i viventi, e tu, su un carro pieno di scheletri, con una rete procedi mentre nel campo di battaglia uomini e scheletri si combattono, e ci sono cani che mangiano cadaveri, morti già nelle casse, uomini impiccati, uomini che stanno per essere decapitati. Tutti lottano contro di te ma muoiono tutti, guerrieri, principi, cardinali, re e imperatori, mentre scheletri in toga bianca assistono. Solo due amanti in basso, a destra, sembrano divertirsi con la musica, incuranti di ciò che accade loro intorno: questo vuol dire che solo l’amore salva?
– Non sei molto preciso, ma credo che tu stia parlando di un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio. È al Museo del Prado, a Madrid. No, nemmeno l’amore salva dalla morte. I due amanti suonano un inno alla Morte. E poi non è nemmeno rappresentato l’amore, ma la lussuria. Ma lasciamo perdere, questo quadro contiene molti altri significati – la cupidigia, l’avarizia, la parodia della classe nobiliare sprofondata nel vizio e falciata dalla morte – che qui non è il caso di discutere.
– Va bene. Visto che non sei venuta qui per prendermi – oh Dio come te ne sono grato! – dimmi perché sei venuta.
– Per parlare, Gundar.
– Di che cosa?
– Ma dell’immortalità!
– Ah, l’avevo sospettato.
– Non ci voleva molto.
– Che vuoi da me?
– Devi lasciar perdere: non è possibile l’immortalità, e se anche fosse possibile, non ti servirebbe a nulla l’immortalità, potresti morire in mille altri modi, ricordalo. Non sei invulnerabile.
– Sì, ma io posso vivere in solitudine, con la mia compagna, lontano da tutti ed evitare così gli incidenti.
– Sì, e moriresti disperato. Ascoltami: è la solita cazzata della tecnica, che ogni tanto perde le staffe e…. la morte non sarà mai debellata. Credimi.
– Oh destino fugace dell’uomo, oh fugacità della gloria! Oh vanità delle cose terrene, dell’amore, degli onori, delle ricchezze, della fama, del tempo
– Non fare il buffone!
– Tu hai paura.
– Di chi? Dell’immortalità? Ma fammi il piacere! Ascolta, Gundar, io sono ormai l’ultimo elemento di equilibrio di un mondo ormai in decomposizione. Io, la morte naturale dico, di quella accidentale purtroppo non posso rispondere. Della morte delle epidemie, della morte delle guerre, degli omicidi, delle stragi, dico.
– Tu saresti l’equilibrio?
– Sì, l’equilibrio. Io sono l’ordine contro il caos, la razionalità, il pilastro fondamentale della società. Pensa a quello che accadrebbe senza di me: alle politiche sociali dei governi, alle compagnie di assicurazione, al sistema pensionistico, alle agenzie di pompe funebri.
– Mancherebbero i fondi per le pensioni, aumenterebbe la disoccupazione, fallirebbero le assicurazioni…
Bravo, cominci a ragionare. Pensa ai rappresentanti di pompe funebri e all’indotto, alle fabbriche di bare, alle falegnamerie, ai fiorai. Non si costruirebbero più tombe, feretri, cataletti, milioni di carpentieri e manovali rimarrebbero disoccupati…. e non parliamo dei necrofori, e di affini becchini e beccamorti. Le tipografie dovrebbero riciclarsi perché non si stamperebbero più manifesti funebri. E le agenzie di pompe funebri? Ho una buona idea: seppelliranno animali, saranno riconvertiti a questa occupazione per i servigi resi nel passato, a molti la cosa apparirà ridicola, ma bisogna salvare il settore…
– Spiritosa!
– No. Pensa al sistema sanitario, a tutti i medici…. Licenziati. Agli oncologi, a tutti gli altri specialisti…
– Beh, in effetti…
– Gli ospedali si affollerebbero di malati se non morirà nessuno, ci sarà un ingorgo pazzesco… E poi, le case di riposo per anziani, chiuderanno o chiederanno sovvenzioni ai governi. Aumenteranno le rette, Gundar… No, no, chiuderanno perché nessuno si potrà permettere di pagare all’infinito.
– L’unica soluzione potrebbe essere bloccare le nascite, fare intervenire la Nascita per equilibrare tutto… Non sarebbe democratico, perché non nascerebbe più nessuno, ma… Sì, forse è l’unica soluzione.
– Che, fai lo spiritoso pure tu, adesso? Pensa alla composizione della società, miliardi di vecchi e vegliardi che aumentano sempre più, una massa bestiale, gigantesca, di vecchiardi che divorano le nuove generazioni, generazioni che sono per l’eternità al servizio della merda. Quanti matusalemme, nonni bisnonni trisavoli tetravoli pentavoli, esavoli, un formicaio pazzesco di vecchiume, un esercito di vecchi sdendati catarrosi incapaci di trattenere la bava, caconi immortali che non sanno frenare una scorreggia, un incubo immane spaventoso, eserciti di merda inonderanno la Terra!
– Mamma mia che bordello! Sì, in effetti l’immortalità qualche problemuccio lo creerebbe. Non parliamo poi delle religioni… La morte deve essere la spada di Damocle protesa sul collo delle persone, bisogna vivere col terrore della morte. L’idea che esista un futuro senza morte è non solo blasfema ma anche assurda, perché presuppone che Dio sia assente.
– Sì, le religioni. Non lo avrei dimenticato, Gundar. Il cervello ancora ti funziona. Sì, le religioni. Non si deve mai esagerare, Gundar, però la morte è assolutamente fondamentale per la realizzazione dei progetti delle religioni, per esaudire le aspettative dei popoli. Ogni religione non ha senso senza la morte, pensa al Buddhismo, all’Induismo, alla reincarnazione, al Nirvana. L’immortalità non consentirebbe la reincarnazione, crollerebbe l’immane edificio dell’Induismo, e di conseguenza del Buddismo. Pensa alle religioni monoteistiche, all’Islam, all’Ebraismo, al Cristianesimo. Il Cristianesimo! Senza la morte non ci sarà più resurrezione, e senza resurrezione non ci sarà più la Chiesa. Bada, io parlo solo delle conseguenze sociali della cosa, a me della resurrezione e della fondatezza delle religioni non me ne frega nulla: io sono la morte, non la resurrezione!
– E poi l’arte, la cultura, senza il tema della morte.
– Bravo. Pensa a tutta la letteratura sulla morte, a quanti scrittori resterebbero disoccupati. Pensa a tutti quelli che hanno scritto sulla morte, a Dante, John Milton, alla poesia cimiteriale, a Foscolo…
– Basta, basta. Insomma, che dovrei fare io?
– Distruggere per sempre questa scoperta. Meglio: l’idea che sia possibile una scoperta come questa. Non lo vedi a quanti pericoli stai andando incontro? Non lo vedi quanta gente pericolosa la cerca? E poi ti ho dimostrato che non è possibile l’immortalità.
– Già. Sei tu l’unica realtà possibile.
– Certamente, Gundar. Nemmeno tu credi all’immortalità: sin dall’inizio del nostro colloquio, hai mostrato un vivo terrore per la morte.
– Una cosa inconscia. Perché finora hai vinto sempre tu.
– Sì. Ascoltami, Gundar: se la morte non ammazzasse più, le conseguenze sarebbero catastrofiche in tutta la società. Implorereste Dio per fare tornare la morte.
– Chissà, forse no. È il progresso della società.
– Quale progresso? Non c’è progresso nell’universo. Tutto procede sempre verso la distruzione, tutto procede sempre verso la morte. In ogni pianeta, in ogni sistema stellare, in ogni costellazione, in ogni galassia, in ogni agglomerato di galassie, l’unica realtà è la morte. L’esistenza è solo un apparire che rapido va verso la sua estinzione. Quello che voi chiamate tempo sulla Terra è solo un sogno fugace, anzi un sudato sogno, una paurosa larva, quasi una particella di morte. Lo dice un grande poeta, sola nel mondo eterna è la morte. E l’esistenza un punto acerbo che di vita ebbe nome. Io sono l’unica realtà dell’universo. La morte.
– Basta, non ne posso più con queste citazioni! Mancava solo Leopardi!
– Gioco con le tue stesse carte. Manca ancora una volta Seneca, Troades. Quaeris quo iaceas post obitum loco? Quo non nata iacent. Chiedi dove giacerai dopo la morte? Dove giacciono le cose mai nate.
– O la smetti o me ne vado.
– Vai dove vuoi, ma prima devi distruggere l’idea che sia possibile la scoperta dell’immortalità.
– E se non lo faccio? Se non mi hai convinto?
– Spazzerò via dalla faccia della Terra te e la tua immortalità.
– Come?
– Cercherò di farti morire in un incidente. Un banale incidente: non basterà ritirarti in solitudine. Un incidente d’auto, una scossa elettrica, la caduta in un burrone… questo posso farlo. Non sei invulnerabile, immortale sì, ma invulnerabile no. Non la scamperai per sempre.
– E se invece accetto? Che premio avrei?
– Io non posso prometterti una vita fortunata e felice, non mi occupo della qualità della vita delle persone. Però posso farti campare fino a 127 anni, il massimo che finora ho potuto fare per gli uomini. Avrai tutto il tempo per potere realizzare i tuoi sogni. Insomma, posso garantirti che verrò il più tardi possibile, ti darò la possibilità di ricostruirti la vita, e ti darò una morte dolce, indolore.
– Mi dispiace, ma ci devo pensare.
– Io sono molto paziente, Gundar, lo sai. Ma non posso perdere molto tempo.
– È che se accetto, non so che cosa mi aspetta dopo la morte. Anche se qualche cosa in più saprò questa mattina, dopo che mi sarò confessato.
– Confessato?
– Sì. Mi ha telefonato un prete – no, non era Lacroix. Mi ha telefonato un tale che si è qualificato come prete, vuole parlarmi. Non conosco altri preti in questo villaggio oltre Lacroix. Non riesco a immaginare chi sia e che cosa possa volere. Io, comunque, ne approfitterò per confessarmi. Non l’ho mai fatto. Mi sarà più facile farlo con un estraneo, con un prete che non conosco.
– Uhm! Avrai molte cose da raccontare. Comunque, sì, vai da questo prete. Chissà che non trovi la risposta ai tuoi problemi. Di ciò che c’è dopo la morte, ecco, queste non sono cose che mi riguardano. Su questo non posso aiutarti. I preti danno spesso soluzioni che non ti aspetti.
– Che fai? Te ne vai?
– Sì, Gundar. È sconveniente per la Morte vedere il giorno che albeggia.

(Tratto da Il villaggio degli immortali, Francesco Bellanti,
Lulu, pagg.350, New York, 2016)

 

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