Alcool, droghe e porno: alle origini della violenza sessuale

di Diego Torre

NON BISOGNA ESSERE SCIENZIATI O PSICOLOGI PER COMPRENDERE L’OVVIETÀ DI QUESTE CONSTATAZIONI

Continua la saga dello stupro di gruppo (quello con un solo autore non fa più tanta notizia, a meno che non sia seriale) oltre a quella delle donne assassinate dai loro compagni, ex e quant’altro. Falsamente sorpresi, i Tg ce li narrano, enumerano, dettagliano. E tutti stanno ad inorridirsi. Le cause di fondo? O il solito piagnisteo contro i maschi “patriarcali” o il nulla.

In questo panorama dell’orrido merita attenzione la sentenza su un fattaccio avvenuto a Firenze 5 anni, la quale, pur nella sua opinabilità, permette una lettura un pò più profonda di quello che è ormai un fenomeno di massa.

La ragazza, allora diciottenne, venne violentata da tre suoi “amici”, compagni di classe, mentre era sotto effetto di alcool e canne. Giunge dopo “appena” 5 anni la sentenza di assoluzione, perchè “non avevano capito il rifiuto della ragazza” e “spinti dall’eccitazione hanno fatto di tutto per indurre la ragazza a intrattenere un rapporto plurimo, che gli stessi avevano coltivato nelle settimane precedenti “.

Plurimo? Un vocabolo elegante! Coltivato? Dove? Nella loro fantasia? Negli approcci presi con la ragazza? Nella premeditazione del fatto stesso?

Certamente il loro comportamento è stato “eccessivo”, ma come non considerare che esso è stato condizionato dal fatto che la ragazza non era “al massimo della lucidità” , e si e quindi determinata una “situazione certamente equivoca”?

Altra riflessione suggerita dalla sentenza è che i ragazzi sono stati “condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile”. C’è da chiedersi: attenuante o aggravante? E ancora: chi gliela avrà trasmessa questa laida concezione?

A prescindere dal caso specifico e dalle valutazioni di merito sulla sentenza, due elementi ritornano costanti in queste narrazioni dell’orrore: alcool e droghe che ottundono i cervelli e la pornografia che riduce nella mente del consumatore l’altro, qualunque altro, ad oggetto spersonalizzato del proprio piacere. E non bisogna essere scienziati o psicologi per comprendere l’ovvietà di queste constatazioni.

Ma perché allora tutti gli scandalizzati maschiofobi, le femministe inviperite, i difensori dei diritti umani, non affrontano mai questi argomenti? Forse perché, nella loro visione libertaria e radicale, nel loro materialismo edonista, trovano “normale” che l’uomo perda il controllo e cerchi un piacere fine a se stesso, svincolato da ogni superiore riferimento alla sua dignità?

Soltanto se gli uomini ritroveranno la loro perduta dignità e se le donne sapranno imporsi al loro rispetto, lo stupro diventerà il cattivo ricordo di un tempo animalesco in cui l’uomo era appena un maschio e la donna appena una femmina. Chi lo spiegherà (e testimonierà), soprattutto alle nuove generazioni?

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