Il Nobel per la medicina 2023 è un riconoscimento politico

di Raffaele Cerbini

PREMIATA UNA “SCOPERTA” VECCHIA, CHE HA UNA EFFICACIA LIMITATA NEL TEMPO E CERTAMENTE NON È PRIVA DI RISCHI. CHI VUOLE AFFOSSARE IL FONDAMENTALE PRINCIPIO PRIMUM NON NOCERE?

Nel 1938 Enrico Fermi ricevette il premio Nobel per aver identificato nuovi elementi della radioattività e scoperto reazioni nucleari mediante neutroni lenti. Qualche anno dopo la sua pila atomica, assemblata a Chicago nel 1942, costituì il primo esempio di reattore nucleare in grado di produrre una reazione a catena controllata. La conseguenza di questa scoperta fu la costruzione della bomba atomica 

Qualche giorno fa il premio Nobel per la medicina è stato assegnato al perfezionamento, e non alla scoperta, di un meccanismo di immunizzazione attiva contro il virus Sars CoV-2 mediante l’utilizzo di RNA messaggero. 

Vanno infatti ricordate due cose: la tecnologia a mRNA esiste da decenni e le nanoparticelle lipidiche che rivestono proprio l’mRNA favoriscono la penetrazione dello stesso nelle nostre cellule, fornendo loro le istruzioni per assemblare la proteina spike da immettere in circolo. Una volta in circolo nel nostro organismo, la spike viene riconosciuta dal sistema immunitario, che inizia a produrre anticorpi e sviluppa una memoria contro il virus. 

Fin qui tutto logico.

La prima cosa strana è però che un premio Nobel viene assegnato ad un meccanismo che funziona bene, e nessuno lo ha mai messo in dubbio, ma la memoria della sua azione dura solamente per un brevissimo periodo, perché il target – la spike virale – muta con estrema facilità nel tempo – ad oggi sono state identificate oltre 4000 varianti rispetto al virus Sars-CoV-2 originale – mentre gli anticorpi creati dai singoli preparati restano sempre gli stessi ed ovviamente perdono efficacia tanto più il target è mutato dell’originale.

In altri termini: è stato premiato un caduco fiammifero invece di una persistente lampadina a led.

In secondo luogo il premio assegnato non prende in nessuna considerazione le possibili reazioni avverse, che per la stragrande maggioranza sono proprio di tipo immunitario; in particolare dopo ripetute somministrazioni. 

La vecchia tecnologia a RNA messaggero utilizza infatti le strutture cellulari per far loro sintetizzare proteine che sono estranee all’organismo, verso le quali l’organismo stesso reagisce per combatterle. Ed anche qui tutto sarebbe logico e lineare se le proteine così formate fossero esclusivamente esterne all’organismo, permettendo di stimolare la neutralizzazione esclusivamente di queste. Il vero problema è che tali proteine, create dal nostro organismo su input esterno, possono essere in grado di riconoscere ed attaccare anche proteine del nostro corpo ed è questo il meccanismo auto-anticorpale alla base delle malattie autoimmunitarie indotte dall’utilizzo di una tecnica farmaceutica di cui ancora non c’è perfetta padronanza e della quale si conoscevano questi specifici rischi già da ben prima della pandemia. 

Per semplificare: facciamo conto che l’mRNA sia il materiale necessario a creare una freccetta – la proteina spike -, che viene lanciata con estrema precisione verso il nostro sistema immunitario per indurlo a produrre anticorpi capaci di neutralizzare il virus dannoso contenuto nella freccetta. Ma il nostro sistema immunitario è così perfetto che certamente crea una barriera protettiva contro quello specifico virus contenuto nella freccetta ma non ha alcuna efficacia nei confronti di una qualsiasi altra freccetta. Da qui l’inefficacia dei vaccini, che si sono mostrati incapaci di contrastare tutte le successive varianti del virus Sars-CoV-2

Ma c’è anche un altro problema: il sistema immunitario reagisce contro tutto ciò che è presente nella freccetta, incluse le minuscole “impronte digitali” lasciate dalle cellule del nostro organismo con cui è stata creata, Da qui le frequenti reazioni autoimmunitarie, soprattutto conseguenti a ripetute somministrazioni dello stesso preparato. 

Assegnare il massimo riconoscimento per la medicina ad una “scoperta” che a tutti gli effetti è vecchia, ha una efficacia limitata nel tempo e certamente non è priva di rischi è quindi un evidente paradosso. Anzi, il sospetto è che si sia trattato di un riconoscimento “politico”, col quale avallare una ideologia vergognosa e pericolosissima che viene meno al principio fondamentale della medicina stessa, ovvero primum non nocere. In sostanza un Nobel che butta a mare tutta la medicina “tradizionale”, ovvero basata sulle evidenze, che hanno bisogno di molti anni di pazienti ricerche prima che facciano dire che una certa procedura possa essere ritenuta sicura.

Purtroppo il tempo è galantuomo e tra qualche anno forse si scoprirà che l’utilizzo errato di una valida tecnologia rischia di far esplodere una vera bomba atomica per la salute dei soggetti che la utilizzeranno impropriamente. 

Nessuno nega che ci siano campi di applicazione molto specifici per la tecnologia a mRNA, come quello oncologico. Il problema sorge quando la si vuole utilizzare in maniera impropria su soggetti che non ne avrebbero alcun bisogno. 

Chissà se Katalin Karikó e Drew Weissman, gli scienziati insigniti del Nobel, pensando ai rischi futuri Avranno l’onestà di rinunciare al premio.

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