Il progetto avveniristico di Sisi City

di Gian Piero Bonfanti

SISI CITY: UNA CAPITALE COMMERCIALE “GREEN” PER FAR FRONTE AL PROBLEMA DEMOGRAFICO DELL’EGITTO

Costruire città “green” in aree depresse dove convogliare una popolazione che numericamente è in continuo aumento sembra essere una pratica abbastanza diffusa nei paesi arabi. Problema opposto a quello che sta accadendo nella nostra Europa dove, grazie al drastico decremento demografico, si prospetta un futuro con “riempimento” di spazi vuoti. Del progetto chiamato Neom dell’Arabia Saudita che include la costruzione di 4 regioni in area desertica(Sindalah-Trojens-Oxagon-The Line) ne abbiamo già parlato.

Oggi vi parliamo di cosa sta accadendo in Egitto, a 50 km. a sud-est del canale di Suez: la Costruzione di Sisi City. Con la motivazione di decongestionare Il Cairo e dar vita a una città “smart e green”, come viene sostenuto dalle autorità egiziane, sta avanzando velocemente questo progetto avveniristico. In realtà dietro a questo piano si cela ancora una volta una catena produttiva tutt’altro che trasparente e sostenibile, in mano ad imprenditori che ben altro hanno a cuore anziché progetti filantropici. La costruzione della nuova capitale commerciale è stata affidata a una società  pubblica denominata ACUD (New Administrative Capital Company for Urban Development), che per il 51 per cento è di proprietà dell’esercito egiziano e per la restante parte del Ministero dell’Housing, Utilities and Urban Communities. Questa società ha la gestione di terreni enormi sui quali la città sta progressivamente crescendo e le cui transazioni non sono affatto trasparenti.  La direzione dei lavori per la costruzione di Sisi City, ispirata chiaramente al dittatore egiziano Abdel Fattah al-Sisi, è affidata all’ingegner Khaled Abbas, già numero due del Ministery of Housing for National Project con delega alla costruzione delle nuove città.

Durante un’intervista Abbas ha affermato che la fase uno della costruzione della Nuova Capitale Amministrativa sarebbe dovuta terminare alla fine di marzo 2023 e che avrebbe inizialmente interessato una superficie di 40.000 feddan, circa 16.800 ettari ovvero 168 chilometri quadrati. Una superficie di poco inferiore a quella del comune di Milano che sarebbe bastata per contenere gli abitanti previsti nel progetto iniziale. Successivamente invece il progetto ha visto un grande ampliamento territoriale e il progressivo arrivo dei dipendenti pubblici e del personale delle ambasciate e di altri centri di potere, i quali dovrebbero trasferirsi dalla loro attuale sede a Il Cairo. Si prevede che, a fine lavoro, la città possa contenere una popolazione compresa tra i 6 e gli 8 milioni di abitanti. Da quanto si evince che la città sarà abitabile da un ceto medio alto e la popolazione egiziana, che in questi anni sta vivendo una profonda crisi del paese, non vede sicuramente di buon occhio gli investimenti messi in atto. Non mancano anche gli investimenti esteri in questo mastodontico progetto e, come al solito, la Cina è in prima linea.

Trovandosi a soli 15 km da Rafah, la città di Gaza affollata di palestinesi su cui pende la minaccia dell’offensiva israeliana, molte ombre sono sorte anche dall’annuncio di Ibrahim al-Organi, ex uomo d’affari e leader delle milizie del Sinai, noto a causa delle somme esorbitanti che le sue società fanno pagare ai palestinesi che fuggono dalla guerra verso l’Egitto e ai camion di aiuti che entrano nell’enclave. Infine c’è da dire che questo progetto si sta rivelando tutt’altro che green, considerate le ingenti quantità di cemento utilizzate e le autostrade a più corsie costruite su terreni che potrebbero in realtà essere adibiti a coltivazioni agricole. Ancora una volta gli interessi economici sono superiori al buon senso. Ancora una volta si va incontro a nuove forme di schiavitù dove chi vorrà vivere in luoghi come questi sarà “ricattabile” dal punto di vista economico. Abbattere il ceto medio ed aumentare i divario tra  benestanti ed indigenti sembra essere la nuova tendenza per il controllo della popolazione.

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