Storia vera dell’avventuriero dei due mondi: Giuseppe Garibaldi il massone

di Francesco Bellanti

DIALOGO DI FRANCESCO BELLANTI E DI GIUSEPPE GARIBALDI, OVVERO DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELL’IMPRESA DEI MILLE, DEL RISORGIMENTO, DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DEI BORBONE, DELLA MASSONERIA, DEL SOCIALISMO, DELLA STORIA, DELLA VERITÀ E DEI SOGNI

Cinque maggio 2011. Tarda mattina. Cimitero di Palma di Montechiaro. Garibaldi davanti all’ingresso, seduto, pensieroso.

Prima parte

Francesco. Ehilà, Generale! Che sorpresa! Che ci fate in questo paese dimenticato dalla storia?

Garibaldi. Un turista di questo paese, in visita a Caprera, forse mi ha fatto uno scherzo. Mi ha detto che in questo cimitero è sepolto un garibaldino, non citato nelle cronache. Io li conoscevo tutti i miei garibaldini, ma in occasione delle celebrazioni dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia, per scrupolo, sono venuto a controllare di persona: no, non ho trovato nessun garibaldino in questo cimitero. Ho chiesto anche in paese, ma nessuno sa niente.

Francesco. Sì, Generale, vi hanno fatto uno scherzo: non avete avuto nessun garibaldino di questo paese al seguito. E nessun picciotto. E, se devo essere sincero, ne sono fiero. L’Unità d’Italia è stata un fallimento, e queste celebrazioni sono retoriche e false. Calibbardo fu ferito, fu ferito ad una gamba…

Garibaldi. Ma che cazzo stai dicendo? Perché canti? Mi prendi per il culo? Chi sei?

Francesco. Sono…

Garibaldi. Ah, sì. Ho sentito parlare di te, qui. Un socialista come te non dovrebbe essere così antipatriottico.

Francesco. Non lo sono. È che l’Italia non andava fatta, Generale. Voi avete consegnato una brutta Italia agli Italiani. Gli Italiani sono litigiosi, l’Italia è troppo lunga, contiene tante tradizioni, tante culture. Sarebbe stata meglio una federazione di Stati Italiani, tutti sovrani: magari sotto il patrocinio spirituale del Papa.

Garibaldi. Ma che minchia stai dicendo, figliolo? Tu, un socialista!

Francesco. Lo avete sentito: l’Italia non andava fatta. E poi, l’Italia unificata da un tedesco! Non poteva che nascere male, questa Italia!

Garibaldi. Tedesco? E chi cazzo sarebbe il tedesco? Io?

Francesco. Sì, Voi. Voi avete origini tedesche, Generale. Il vostro cognome significa pronto alla battaglia e audace. Eravate imparentato con tedeschi. Un vostro avo, Joseph Baptist Maria Garibaldi, si unì in matrimonio con Katharina Amalie Von Neuhof…

Garibaldi. Io fui e sono socialista e internazionalista, e ho rispetto per tutti i popoli, anche per quello tedesco. Ma, anche se Nizza allora era francese e io fui registrato come Joseph Marie Garibaldi, cittadino francese, io sono italiano dalla cima dei capelli fino ai coglioni, amico mio.

Francesco. Da francese vi sareste chiamato Garibaldì. Suona anche bene. Meglio di Joseph Von Garibald.

Garibaldi. Ehi, boy, che fa, pigli per il culo?

Francesco. Non mi permetterei, Generale. È che sono sorte tante leggende sul vostro conto. Come questa dell’Unità d’Italia. Ma che, parlate inglese, Generale?

Garibaldi. Io parlo tutte le lingue e tutti i dialetti dei Paesi che ho conosciuto. Una leggenda? Un siciliano come te non dovrebbe provocare: la scintilla politica e rivoluzionaria dell’Unità d’Italia scoccò dalla Sicilia.

Francesco. Ora volete imbrogliarmi con la storiella che è stata la Sicilia a volere l’Unità d’Italia.

Garibaldi. Amorè, io ti dico la verità. Sono stati i Siciliani a spingermi a preparare la spedizione. Crispi, per esempio. E Rosolino Pilo. I Siciliani, del resto, sono famosi per questo: o non fanno un cazzo o fanno tutto. I Siciliani si erano rotti i coglioni del regime dispotico e poliziesco di Francesco II. Che voleva addirittura una Lega cattolica e un ritorno reazionario.

Francesco. Su questo, io ci andrei piano.

Garibaldi. L’insurrezione del quattro aprile del 1860 a Palermo, al convento della Gancia, con la fucilazione degli insorti, fu decisiva. L’incendio ormai era scoppiato, e anche al Nord i patrioti e i repubblicani mi chiedevano di intervenire in aiuto degli insorti siciliani.

Francesco. Questa è una storiella che non si insegna più nemmeno nelle scuole elementari. Raccontatela a qualcun altro, Generale. Anche se riconosco che amavate la Sicilia.

Garibaldi. Non è una storiella, mon ami, ed io, sì, ho amato la Sicilia. Due mesi prima di morire, ormai vecchio e quasi paralizzato, l’ultimo mio viaggio lo feci proprio in Sicilia. Era l’aprile del 1882. Ci andai, contro il parere di medici e amici, per le celebrazioni dei Vespri Siciliani. Ebbi la conferma che un intero popolo mi amava, i patrioti, i miei ex compagni e picciotti, le donne. Oh, la Sicilia! Terra meravigliosa di bellezza e di storia, di cultura! Terra di libertà, di coraggio, di indipendenza, di patria! Terra di leoni! Senza i Siciliani non avrei potuto sbaragliare uno dei più potenti eserciti d’Europa!

Francesco. Che poesia! Vabbè che ne avete scritte tante, di poesie, ma questa è la più bella! A chi volete darla a bere? La verità è che molti, siciliani, meridionali, anche quelli del Nord, diciamo quasi tutti gli Italiani, si sono rotti i coglioni di questa Unificazione.

Garibaldi. Chi sarebbero queste teste di cazzo che si sono rotti i coglioni dell’Unificazione?

Francesco. Io per primo. E poi quelli del Nord, per esempio. Perché, secondo loro, avete portato il sottosviluppo all’Italia del Nord, la mafia, la povertà, l’arretratezza. E poi quelli del Sud, che invece pensano che sotto i Borbone se la passavano meglio.

Garibaldi. Minchia che casino che ho combinato allora, ‘mpari! Ma io non ci credo a queste cazzate! Il Presidente della Repubblica fa bene a fare questo popò di celebrazioni. Me lo merito. E se lo meritano tutti quelli che, a modo loro, hanno contribuito a fare nascere questo Paese: Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II, e soprattutto il fior fiore della gioventù italiana che ha dato il suo sangue per l’Italia. Il fior fiore dei Siciliani.

Francesco. Soprattutto loro ce l’hanno con voi, Generale.

Garibaldi. Ma dimmi perché, benedetto figliolo.

Francesco. Ve lo dico subito. Vi siete proclamato Dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II e avete insediato un governo provvisorio siciliano e ne avete affidato la carica di Segretario di Stato a Francesco Crispi. Con un altro colpo e un po’ di coraggio in più avreste proclamato l’indipendenza del Sud, Generale.

Garibaldi. Ma fammi il piacere! L’Italia andava fatta così com’è. Uhè, guagliò, dammi ascolto: saremmo stati spazzati via dalla storia. Io non potevo perdere questo treno. Io ero dalla parte giusta della storia. L’Italia, tutta, doveva essere unita. Oggi l’Italia, con tutti i suoi problemi, è una della Nazioni-guida della storia universale.

Francesco. Voi avete unificato l’Italia con la corruzione, con l’inganno, con l’ipocrisia, con il crimine. Avreste fatto meglio a fare il medico, o l’avvocato, o addirittura il sacerdote, come volevano i vostri genitori.

Garibaldi. Ehi, piccirì, modera le parole! Io sono Garibaldi e tu sei un pezzo di merda. Sei nessuno, vivi in un paese di merda: come cazzo puoi cambiare la storia tu? La storia d’Italia è già fatta: l’ho fatta io.

Francesco. La storia! Quale storia, Generale? Voi siete stato la longa manus della massoneria londinese che voleva fare di Casa Savoia lo strumento per liquidare il Papato e gli Stati cattolici come l’Austria o la Santa Russia. E cercate di non offendere.

Garibaldi. Non ti agitare, amico: vivi di fantasie. Che cazzo di libri hai letto?

Francesco. Su, via, Generale: è la verità. Ormai è passato tanto tempo, potete ammetterlo. Re Ferdinando aveva fatto tante cose buone. Era un re che si dedicava tutto al governo del Regno. Non pensava né a feste né al gioco, né ai divertimenti. Era un uomo semplice, laborioso, frugale. Nel suo Stato c’erano pace, sicurezza, tranquillità, libertà, ricchezza, prosperità. Il re aveva costruito tante strade, ospedali, prigioni, scuole, case termali, edifici comunali. Aveva costruito tanti asili e ospizi, case di riposo, per poveri e orfani, rifiuti della società, manicomi e case varie per i folli. Re Ferdinando aveva costruito anche porti a Girgenti, Mazara, Marsala, Catania.

Garibaldi. Garzoncello scherzoso, io tutto questo veramente non l’ho visto. Quando sbarcai in Sicilia, la prima cosa che mi colpì fu l’estrema povertà dei villaggi nelle campagne, la miseria dei contadini, la sporcizia nelle città. L’arretratezza.

Francesco. Non siate bugiardo, Generale. Quelle erano un po’ dappertutto. La verità è che re Ferdinando costruì industrie, accademie, licei, collegi; istituì molte nuove cattedre nelle università, banche, società edilizie. Furono bonificate tante terre paludose, tanti boschi furono trasformati in terre da coltura, sotto di lui. La Puglia e la Sicilia stavano diventando le terre più ricche d’Europa.

Garibaldi. Garçon, forse qualche tuo lontano parente filoborbonico ha tramandato questa bella favola ai tuoi avi. Lasciami riposare, all’ombra di questo cipresso, ché oggi è na bella iurnata’e sole.

Francesco. Generale, io non ho avuto parenti filoborbonici. I miei erano socialisti. Il Regno del Sud non era il paradiso, ma per quei tempi era uno degli Stati più avanzati d’Europa. Napoli era la terza città d’Europa, dopo Londra e Parigi. Nel Regno delle Due Sicilie c’erano le migliori università e i migliori codici napoleonici, legislazioni e ordinamenti moderni, un’amministrazione efficiente, sia nella finanza che nella giustizia.

Garibaldi. Uhè, guagliò, tu non parli da socialista. Io ho conosciuto fior di socialisti e repubblicani con l’amor di patria! E poi non annoiarmi più con tutta ‘sta prosopopea borbonica!

Francesco. Obbedisco, Generale! Allora continuo col felice Regno di Ferdinando II e di Franceschiello. Nel Regno dei Borbone si sono avuti la prima ferrovia, l’Osservatorio Vesuviano, il primo osservatorio vulcanico e sismologico del mondo, la prima illuminazione a gas d’Italia, i primi esperimenti di illuminazione elettrica delle strade. È stata costruita la più meravigliosa Reggia d’Italia, forse inferiore solo a Versailles…

Garibaldi. Devi aver letto qualche libraccio revisionista, amigo. Di qualche reazionario napoletano. Gli storici napoletani sono i peggiori. Non ti fa onore, a te, un professore di liceo.

Francesco. No, Generale. Diciamo che ho approfondito l’argomento. Mentre voi ve ne stavate a godervi la gloria, bello tranquillo, nella vostra tomba di Caprera. Per esempio, ho letto che re Ferdinando costruì molte fabbriche e molti ponti vicino ai fiumi. Ho letto anche che il Regno dei Borbone era all’avanguardia per la stipula di nuovi trattati di commercio, per l’istituzione di guardie civiche e guardie d’onore a cavallo. I Borbone avevano un esercito potente, una Marina tra le più poderose d’Europa.

Garibaldi. E infatti si è visto come è finita.

Francesco. Su questo torneremo fra un po’. Nelle città c’erano palazzi, ville straordinarie. Le terre erano ricche di messi, i mercati abbondanti, i prezzi bassi e buoni, al tempo, il popolo viveva nell’agiatezza. La popolazione cresceva, come l’industria. Gli abitanti vivevano in un tempo felice, e tempi ancora felicissimi li attendevano. Re Ferdinando è stato il primo a concedere la Costituzione nel ’48, purtroppo rimasta sulla carta perché travolto dalla storia. Grandi riforme liberali si stavano facendo, come quella affidata a Francesco De Sanctis sulla Pubblica Istruzione…

Garibaldi. Sì, il Sud era l’Eden. Figliolo, tu farnetichi. Avrai letto qualche libello propagandistico di qualche alto funzionario filo-borbonico, qualche storico meridionale reazionario che ce l’ha con questi fessacchiotti del Nord.

Francesco. Io dico la verità, Generale. Voi avete compiuto un crimine gravissimo.

Garibaldi. E daje co ‘sti crimini. Quale crimine? Di che stai parlando, guagliò?

Francesco. Ma dell’Unità d’Italia, Generale. Che cosa è stata l’Unità d’Italia? Un’aggressione internazionale contro due legittime istituzioni, la Chiesa e il Regno Borbonico. Una violazione gravissima contro il diritto internazionale, contro uno Stato riconosciuto sul piano europeo, internazionale, il Regno delle Due Sicilie.

Garibaldi. Eh, che parolone! È stata una rivoluzione, ‘mpari. E come tutte le rivoluzioni di popolo, è normale, qualche escandescenza, qualche esagerazione, dico, può esserci stata!

Francesco. No, Generale, non è stata una rivoluzione. I contadini siciliani e napoletani non sapevano che minchia era una rivoluzione, e nemmeno uno scontro, una guerra tra Italiani, una guerra civile, dico. L’Italia non esisteva, i Siciliani o i Napoletani non erano ancora Italiani. Il vostro è stato un attacco contro la cultura siciliana, napoletana, meridionale, contro i valori spirituali e culturali del Sud. Il Regno delle Due Sicilie è stato calunniato per lungo tempo, non era secondo a nessun Paese civile. Il Regno delle Due Sicilie aveva medici, maestri, avvocati, scienziati. Non è stata una rivoluzione, e nemmeno una liberazione.

Garibaldi. Ah, no? E che cosa è stata allora, giovanotto?

Francesco. È stata una annessione. Una spudorata annessione dei Piemontesi. Di stranieri. Vittorio Emanuele II e Cavour parlavano in francese e in dialetto piemontese, si scrivevano in francese. Questo Cavour, poi, che non era sceso oltre Firenze, non conosceva la storia della Sicilia, la sua ricchezza, la sua bellezza, i due raccolti all’anno, i suoi giardini, il giardino dell’Europa… I Piemontesi sono venuti al Sud a saccheggiare le case e a depredare i cosiddetti galantuomini. E voi, il liberatore dei popoli oppressi, vi siete prestato al gioco. I Savoia vi hanno usato.

Garibaldi. Ehi, ora mi hai scassato ‘o cazzo! Modera i termini, mezzasega! Pajetta della mia minchia! Nessuno ha fregato Giuseppe Garibaldi. Io sono l’Eroe puro, il liberatore dei popoli, un grande. Senza di me l’Italia sarebbe stata spazzata via dalla storia!

Francesco. Ah, la storia! Lo vogliamo dire, caro Generale, perché avete vinto la guerra? Perché re Ferdinando aveva voluto restare indipendente. E questo lo ha rovinato. Non voleva farsi assoggettare dalla Francia, dall’Inghilterra. E queste gliel’hanno fatta pagare. Re Ferdinando ha pagato l’isolamento politico. Soprattutto non doveva inimicarsi gli Inglesi, cedendo il monopolio dello zolfo a una società francese privata.

Garibaldi. Su questo non posso dargli torto, anche se Parlmerston era capace di bombardare Napoli: con lo zolfo gli Inglesi ci mangiavano, lo pagavano niente. Lo zolfo siciliano bastava e avanzava per tutto il mondo.

Francesco. Senza zolfo, gli Inglesi erano fregati, non potevano far funzionare le loro industrie, soprattutto quelle che fabbricavano armi. L’Italia è nata, caro Generale, perché era una cosa che serviva alla Francia e all’Inghilterra. L’Italia era come un bastone che doveva essere messo fra le ruote dell’Austria e della nascente Germania.

Garibaldi. Comunque sia, questa guerra i Borbone non potevano proprio vincerla. Francesco II era un debole, succube della matrigna Maria Teresa, la Regina Santa, e della moglie Maria Sofia, sorella dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, una donna forte, una tedesca. Timido, mite, rassegnato troppo religioso, fatalista: chissà, forse era un destino, ma Francesco II non aveva nemmeno il corpo di un re, visto che era magro e lungo, con il volto pallido, la schiena incurvata, le spalle cascanti. Tutti gli uomini di Stato e i capi militari erano vecchissimi. Questo un po’ mi ha aiutato, via.

Francesco. Fuori dall’ironia, però, caro Generale, questo re inutile, questo sovrano imbelle, aveva già concesso autonomie ai comuni, amnistie, aveva ridotto le tasse doganali, migliorato le condizioni dei carcerati, dimezzato l’imposta sul macinato, aveva comprato grano all’estero e lo aveva rivenduto sottocosto alla popolazione e agli indigenti, quello che non fece mai suo cugino Vittorio Emanuele II. La guerra i Borbone l’hanno perduta per altre ragioni.

Garibaldi. Ah, sì? Quali?

Francesco. Voi, caro Generale, siete stato uno strumento di forze più grandi e potenti. La vostra è stata una conquista coloniale anglo-piemontese che ha utilizzato un corpo di almeno venticinquemila mercenari formato da ungheresi e zuavi, polacchi, indiani, e chissà quali altre genti, che avevano già combattuto al soldo dei Francesi in Algeria. C’erano anche soldati piemontesi in congedo e arruolati ancora una volta per la bisogna come volontari. C’erano soldati inglesi. Gli Inglesi vi appoggiavano perché volevano distruggere la più grande flotta mercantile del Mediterraneo, quella del Regno delle Due Sicilie, per liquidare il più pericoloso concorrente nei commerci con l’Oriente, visto che stava per essere aperto il Canale di Suez in Egitto.

Garibaldi. Fantasie. Pure fantasie, caballero! La storia è un’altra cosa.

Francesco. È stata una guerra sporca. Dietro di voi c’era un’altra bandiera. La storia poi ha raccontato un’altra storia, la storia dei vincitori. Voi avete corrotto col denaro i più esperti generali borbonici. I Piemontesi hanno finanziato una guerra sporca per svuotare le casse grasse e ricche delle banche del Regno delle Due Sicilie, per pagarsi i debiti fatti con Parigi e Londra. I Savoia erano fortemente indebitati con i banchieri Rothschild di Francoforte. Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, e perfino la vostra massoneria, volevano controllare le più di quattrocento miniere di zolfo necessarie per la sua flotta e il suo esercito, per l’industria britannica, per dominare il mondo. La Sicilia, la miniera del mondo. Gli Inglesi non tolleravano chi, come il Regno delle Due Sicilie, il Paraguay o gli Stati americani, si opponeva ai loro interessi, e, più della Francia, volevano che nascesse un grande Stato come l’Italia per dare più equilibrio all’Europa. Cioè per il proprio vantaggio.

Garibaldi. Tu farnetichi, figliolo. Seguro. Quando la storia si mette in marcia non fa questi ragionamenti piccini, di bassa politica. La storia è come un fiume impetuoso che porta al mare le scorie inutili ma anche la sua linfa vitale, è come un esercito che calpesta l’erba ma la trasforma in sentiero luminoso.

Francesco. ‘Azz, che poesia! Via, Generale, voi non potete negare che è stata Londra a finanziare l’impresa. La massoneria inglese ha finanziato la guerra con milioni di piastre d’oro turche. I vostri libri contabili, i vostri registri, naturalmente poi li avete bruciati. Ma non potete negare che le navi militari inglesi hanno protetto il vostro sbarco a Marsala. O che vi hanno aiutato la mafia, i grandi proprietari che avete comprato a suon di lire. Non è vero che vi siete incontrato di nascosto il 14 maggio con i generali borbonici Landi e Anguissola per accordarvi sul tradimento? A bordo di una nave ammiraglia della marina inglese?

Garibaldi. Ehi, guapo, non gettare fango sulla tua terra! Su un grande Paese! Ormai l’Unità d’Italia è consegnata alla storia. La storia è un sogno. Non si cura di questi particolari. La storia è una corsa travolgente verso un sogno.

Francesco. Un sogno! In questo sogno dell’Unità d’Italia gli Inglesi ci avevano messo il becco già nel 1848. La rivolta del 1848 in Sicilia era guidata dagli Inglesi, che suggerirono al governo di Napoli di riconoscere l’indipendenza della Sicilia per appropriarsene. L’Inghilterra voleva unire l’Italia e separare il Regno delle Due Sicilie, sempre per la storia dello zolfo che serviva per le loro acciaierie. Dopo l’occupazione francese dell’Algeria, gli Inglesi volevano controbilanciare l’accresciuta potenza navale francese nel Mediterraneo. Voi siete stato uno strumento dei massoni inglesi. Gli Inglesi poi si convinsero che senza una destabilizzazione interna, con la complicità di vertici militari e civili, nel Regno delle Due Sicilie mai ci sarebbe stata la conquista da parte del Piemonte.

Garibaldi. E che minchia! E che erano il Demonio, ‘sti Inglesi!

Francesco. Peggio. Gli Inglesi ce l’avevano coi Borbone anche per la loro esagerata fede cattolica, perché erano troppo vicini al Papa, e perché si stavano avvicinando alla Russia, che voleva trovare uno sbocco sul Mediterraneo. Ce l’avevano coi Borbone per la persecuzione contro le sette massoniche, per la posizione strategica dei porti del Regno delle Due Sicilie in vista dell’imminente apertura del Canale di Suez.

Garibaldi. Minchia! Ce l’avevano col mondo intero, ‘sti Inglesi. Comunque, Inglesi o no, l’Italia si doveva fare, professù.

Francesco. No. Quella unione non si doveva fare, è stata una catastrofe per l’Italia. I Piemontesi volevano saccheggiare tutto l’oro e l’argento delle Due Sicilie, volevano rastrellare tutta l’immensa massa monetaria circolante nel Regno e sostituirla con pezzi di carta inutile del Re savoiardo. Lo Stato italiano è nato con la corruzione, con l’inganno, l’ipocrisia.

Garibaldi. Ahò, sì ‘na musica, guagliò! L’Italia si doveva fare anche così. Non c’era altra via. Troppo sangue era stato versato.

Francesco. C’era un’altra via. Nel Parlamento del Regno di Sardegna, voi eravate stato eletto fra i democratici, Generale. Molti speravano in voi. Conoscevano il vostro sdegno per l’affare di Nizza. Quell’impresa potevate ancora salvarla. Potevate create una repubblica autonoma, indipendente dalla monarchia sabauda.

Garibaldi. Quell’impresa la voleva un tuo conterraneo, giovanotto: Francesco Crispi. E non si poteva realizzare diversamente.

Francesco. Crispi aveva caldeggiato quell’impresa, ma faceva il doppio gioco, incontrava voi e Mazzini ma era filo-monarchico: poi si è visto.

Garibaldi. Io non potevo fare allora la guerra civile. Avrei avuto contro non solo gli Italiani e i monarchici, ma anche la Francia e l’Inghilterra.

Francesco. Don Peppì, voi dovevate fare una rivoluzione vera. Voi, un repubblicano. Un socialista. Il più intelligente si è dimostrato il Re Vittorio Emanuele II, che era considerato il più coglione. Vi ha mandato avanti: se perdevate, lui non avrebbe perso nulla, visto che non si era fatto coinvolgere; se aveste vinto, come poi è successo, avrebbe vinto pure lui. Come Cavour, l’altro furbacchione. Anche se lui si sentiva scavalcato e non voleva che voi partiste, palesemente o di nascosto, poi vi ha lasciato partire, ma non poteva compromettersi apertamente contro una monarchia potente come quella dei Borbone. Cavour e Vittorio Emanuele II non vi stimavano: il Re vi considerava un modesto comandante e uno che si circondava di canaglie.

Garibaldi. Uhè, guagliò, non farmi così ingenuo! Conoscevo i sentimenti del Re e di Cavour verso di me. Non dimenticare mai che stai parlando con un grande della storia! Gli uomini che hanno fatto l’Italia si odiavano un po’ tutti, ma avevano un obiettivo comune. Questo li ha resi grandi. Ricordalo.

Francesco. Io ricordo anche che occorre smascherare l’impostura della storia. Stranamente, le navi borboniche avvistarono in ritardo le vostre navi, protette dagli Inglesi. Gli Inglesi non hanno fatto niente per impedire lo sbarco. Un Risorgimento di traditori, caro generale Calibbardo. A Marsala non pare che ci siano state scene d’esultanza della popolazione, tutti rimasero chiusi in casa o fuggirono nelle campagne. Solo gli Inglesi vi hanno accolto festosamente. Perché vi siete rifugiato nell’isola di Mozia? Temevate la reazione popolare?

Garibaldi. Ehi, piccirì, io ho vinto battaglie epiche. Io sono un titano della storia. Sguazzati la bocca prima di pronunciare il nome di Garibaldi.

Francesco. Sì, ancora vi fa male a guallara. Tutte le vostre battaglie vinte sono state una farsa militare.

Garibaldi. Ehi, amico, ora hai proprio scassato ‘o cazzo. Tutta questa merda portatela a casa.

Francesco. La vostra è stata una conquista, la conquista del Sud. Dove erano le masse, Generale? Quali masse vi seguivano, quali vi appoggiavano, in quali campagne avete veduto le insurrezioni di contadini? Guerriglia? Bande armate? Ma dove? La verità è che voi avete portato sofferenze e orrori alle nostre popolazioni, e vi siete appropriato del titolo di liberatore. Nel bene e nel male, Francesco II era il legittimo re dei Borbone e dei meridionali, mentre Vittorio Emanuele II era un aggressore, un sovrano sconosciuto e lontano.

 

 

Tratto da Francesco Bellanti, Voci dell’Oltretomba, Amazon, 2023

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Garibaldi e Mazzini: la saga dei Massoni patrioti.
Tutto parte dall’ Inghilterra, che voleva, nel Mediterraneo, uno unicobStato forte, x evitare….sorprese…e …invasioni.
Ci voleva una Testa di legno disponibile x l’operazione (speciale).
E lo trovarono subito nell Ducato di Nizza e Savoia manie di grandezza : da Duca a Re.
È storia.
Con palesi