Riforma della giustizia: ma una opposizione efficace non dovrebbe impegnarsi in questo compito?

SE È VERO CHE L’ATTUALE E IL PRECEDENTE LEADER DEL CENTRODESTRA – SILVIO BERLUSCONI E MATTEO SALVINI – SONO STATI OGGETTO DI ATTACCHI DALLE “TOGHE ROSE” E SONO TUTTORA COSTRETTI A DIFENDERSI DA TENTATIVI DI DELEGITTIMAZIONE OPERATI DALLA MAGISTRATURA POLITICIZZATA, NON SAREBBE IL CASO DI SOSTENERE COME UN SOL UOMO LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO TRAMITE I 6 REFERENDUM SULLA “GIUSTIZIA GIUSTA”? ALTRIMENTI CONTINUERÀ A RIPROPORSI LA BEN NOTA “VIA GIUDIZIARIA AL SOCIALISMO”

Di Giuseppe Brienza*

Se ad un intero popolo (o quasi) dovesse venir meno la fiducia nelle decisioni della magistratura, quali potrebbero esserne le ricadute sul funzionamento complessivo della democrazia e dello Stato di diritto? Sarebbero conseguenze disastrose e, diremmo irreversibili. Da questo punto di vista dobbiamo riconoscere che, da un trentennio a questa parte, lo stato della fiducia della magistratura italiana nell’opinione pubblica ci appare in caduta libera. Come può la politica e la società civile invertire la rotta? Non certo seguendo le sirene giustizialiste dei neo-giacobini o, soprattutto in questi tempi travagliati, rincorrendo il populismo giudiziario che è di casa in certe nostre procure e, purtroppo, anche nei tribunali popolati da una magistratura politicizzata.

La sconcertante vicenda dell’ex giudice Luca Palamara, leader della corrente di Unicost, Unità per la costituzione, ha mostrato solo la punta dell’iceberg di quella piccola ma influente parte della magistratura italiana asservita alla sinistra e al potere. Una cricca che, ieri ha condotto una guerra pluriventennale a Silvio Berlusconi e, oggi, si propone (proponeva?) di «abbattere» il leader della Lega Matteo Salvini.

Contro il Governo Berlusconi I, già nel 1994, sappiamo fu orchestrato un vero e proprio complotto per colpire tutto il centrodestra arrivato finalmente al potere con il consenso delle urne. Poi nel 2013, lo ricorderemo, il Cavaliere a seguito di una controversa condanna per «frode fiscale» nel processo a Mediaset, venne estromesso dal Parlamento in applicazione della c.d. legge “spazzacorrotti”. Uno dei sei referendum abrogativi sulla giustizia per i quali è in corso la raccolta firme, in effetti, è proprio diretto ad abolire la legge Severino. Gli altri cinque varranno a porre un limite agli abusi della custodia cautelare, ad introdurre la separazione delle carriere (i magistrati appena assunti dovranno scegliere la funzione giudicante o quella requirente), l’equa valutazione (i magistrati non potranno essere controllati soltanto da altri magistrati) e la responsabilità diretta dei magistrati e, infine, a porre finalmente mano alla riforma del Consiglio superiore della Magistratura con l’obiettivo di dire stop alle correnti (con il sì al referendum chiunque si potrà candidare al CSM, mettendo così fine al condizionamento della politica sulla giustizia).

Ritornando alla sentenza d’interdizione dai pubblici uffici di Silvio Berlusconi, dopo la conferma in appello della sentenza uno dei giudici, Amedeo Franco, confidò al presidente di Forza Italia davanti a testimoni che la condanna costituiva a suo avviso un’«autentica porcheria» ed era stata «pilotata» dall’alto (cfr. Adalberto Baldoni, “Requiem” per la Giustizia, Il Borghese, n. 8-9, agosto/settembre 2020, p. 13).

Come dimenticare allora quel giudizio terribile che già nel 2008 l’allora Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga pronunziò nel corso di una trasmissione su Sky Tg24 condotta da Maria Latella – presente anche Palamara – nella quale commentando le dimissioni di Clemente Mastella da ministro della Giustizia definì l’Associazione nazionale magistrati (ANM) «un’associazione sovversiva e di stampo mafioso»?

Da sottolineare che Palamara, che era in quel momento proprio presidente dell’ANM, non replicò a questa tremenda accusa limitandosi a farfugliare.

È stato riferito che Berlusconi, quando lo scorso anno ha saputo delle intercettazioni sulle manovre politico-giudiziarie di Palamara & co. contro Salvini, ha confessato di aver rivissuto per un momento i ventisei anni di inchieste e campagne diretta a delegittimarlo e fiaccarne l’operato come presidente del Consiglio. L’episodio più conosciuto dell’offensiva mediatico-giudiziaria nei suoi confronti si ebbe come noto fin dall’inizio, il 21 novembre 1994, quando da soli sei mesi insediato a Palazzo Chigi il Cavaliere stava presiedendo a Napoli una conferenza mondiale sulla criminalità promossa dalle Nazioni Unite. Ebbene, durante i lavori della stessa conferenza, la Procura di Milano che indagava su Fininvest gli fece recapitare un «invito a comparire» facendo precedere questo clamoroso atto di “giustizia ad orologeria” dalla diffusione della notizia presso la stampa che, non sappiamo se per malizia o per superficialità, parlò di un «avviso di garanzia» e non di «un avviso a comparire».

Cosa autorizza ad accreditare un legame od un coordinamento fra quell’atto giudiziario e la conseguente Breaking News annunciata dai media? Beh, se non altro la circostanza, nota a chi frequenta le Procure, delle strette relazioni e frequentazioni fra i magistrati requirenti (cioè i Pubblici ministeri) ed i cronisti della giudiziaria. Non è difficile quindi fare deduzioni su quando ad un input giudiziario segua quasi contemporaneamente un output mediatico.

Quelli contro il Cavaliere e contro Salvini sono fatti difficilmente contestabili, che meriterebbero di essere riportati a futura memoria nei manuali di storia. Nel delicato momento storico che stiamo vivendo, questi fatti dovrebbero almeno impedire l’accusa di delegittimazione della a chiunque si permetta di esprimere critiche per l’uso distorto della giustizia oppure cerchi di promuovere una sostanziale riforma dell’ordinamento giudiziario, com’è nel caso dei 6 referendum sulla “giustizia giusta” in carico alla Lega, al Partito Radicale, a Forza Italia e all’Udc.

Gli Italiani più responsabili, tanto quelli che si sentono vicini al centrodestra quanto quelli che simpatizzano a sinistra o appartengono ad altri partiti o movimenti, sono chiamati a sostenere questo importante tentativo popolare di ridare credibilità alla magistratura e restaurare garanzie processuali solide ai cittadini.

Gli episodi che abbiamo visto e che hanno tentato per via giudiziaria di colpire politicamente prima Berlusconi e poi Salvini, infatti, possono sempre ripetersi rischiando di «abbattere» l’intero impianto della nostra Costituzione, non solo la coalizione di centrodestra! Se continueremo a permettere ad una élite di porsi al di sopra delle regole dello Stato e delle garanzie del diritto, indipendentemente dalla convenienza che può derivarne a certi partiti o leader post-comunisti, finiremo sicuramente per approdare alla deriva costituzionale. Con essa, poi, non sarà lontana la dittatura giudiziaria vera e propria, una volta che ci saremo naturalmente lasciati alle spalle quella sanitaria…

I quesiti referendari che è possibile firmare in uno dei 1.500 gazebo organizzati in tutta Italia, ricordiamolo, non costituiscono solo uno stimolo per la riforma incisiva della giustizia ma, allo stesso tempo, si propongono anche di eliminare quelle storture e “responsabilità oggettive” che stanno compromettendo la figura e le funzioni degli amministratori pubblici. Quelli fra costoro che provano a fare bene il loro lavoro, infatti, si trovano spesso penalizzati in quanto privi della presunzione d’innocenza. Una riforma della magistratura non può non richiamare urgentemente anche una nuova valorizzazione di chi svolge funzioni al servizio dello Stato, sia se sia eletto sia se assunto con un concorso pubblico. Eliminando l’intera legge Severino si determinerebbe l’abolizione di quell’automatismo in grado di restituire ai giudici la facoltà di decidere l’applicazione o meno della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici a seguito di condanna definitiva. In caso contrario, potremo facilmente assistere a nuove sentenze come quella comminata nel 2013 a Berlusconi che, con quattro anni di carcere per frode fiscale, finì per influenzare in maniera decisiva la competizione politico-elettorale privando uno dei due schieramenti del suo leader.

Come dare torto da questo punto di vista al Cavaliere quando, alla vigilia della votazione in Giunta per le elezioni al Senato del suo provvedimento di decadenza, il 19 settembre 2013, accusò in un memorabile videomessaggio la «magistratura politicizzata» di aver reso «democrazia dimezzata» quella italiana, puntando come obiettivo finale «la via giudiziaria al socialismo»?

 

* Quarta e ultima parte di un dossier/inchiesta sulla giustizia curato dall’Autore con gli articoli pubblicati su inFormazione Cattolica il 20 e 21 e 22 luglio 2021.

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